
Li vedi in televisione, con i loro volti affranti, insacchettati nelle giacchette, e con le camicie con la cifra ricamata, disquisire di massimi sistemi a colpi di certezze assolute di ignota provenienza. E capisci che è tardi, si sono fatti strada con la straordinaria capacità di adeguarsi, di mimetizzarsi e conformarsi al potere, qualunque esso sia. Mediando e scegliendo la parte giusta, la festa adatta. Mentre fuori, nella realtà di ogni giorno, venivamo spianati indifesi dalla fascisteria etica e culturale che ci sta facendo vergognare come cittadini democratici.
In che mondo siamo finiti? Scrivevo sul tema informazione in un Polemos del 19 novembre 2023, intitolato giustamente: “L’ipocrisia faziosa degli incompetenti”:
“Penso anche al coraggio leonino mediatico del nostro Giornalismo Grandi Firme. Dalla parte del più forte sempre e comunque. E senza se e senza ma. Pessima rappresentazione di un mestiere che invece esprime straordinarie e coraggiose giornaliste (e coraggiosi giornalisti) che invece di concionare nei salotti buoni sono sul campo, a cercare di narrare la realtà senza infingimenti.”
Perché di giornalisti veri e coraggiosi, coerenti, che non frequentano solo vip, ce ne sono tanti. Ma non sempre, anzi quasi mai, sotto le luci dei riflettori.
Ecco perché, da attivisti culturali, non amiamo e non invitiamo mai esponenti del circo barnum mediatico televisivo. Preferiamo dialogare (non ascoltare passivamente come ahimè si usa nei vari festival e fiere) giornalisti che svolgono ancora il ruolo di cani da guardia (per la libertà, per la democrazia, sempre ed evidentemente contro gli interessi del potere) e non quello da cani da compagnia e da riporto.
Vedrai, mi dice un amico, di fronte al mondo che sta insorgendo contro le follie di Trump e gli eccidi di Netanyahu, anche gli esperti da poltrona di salottini, i titolisti nascondi notizia, i furbetti delle redazioni troveranno un filo di coraggio per dire quello che dicono i giornalisti quando cambia il vento: io l’avevo detto. E non l’avevano detto. Ma lo diranno lo stesso.
“C’è un leggero cambiamento anche nella copertura dei mezzi d’informazione. Invece di limitarsi a ripetere i discorsi del governo israeliano, importanti giornalisti hanno cominciato a chiedere ai portavoce israeliani perché il loro governo non permette alla stampa straniera di entrare liberamente a Gaza”, scrive su The Guardian Arwa Mahdawi nel testo “Rompere il silenzio su Gaza”, impeccabilmente scelto e tradotto per i lettori italiani da quel grande giornale che è Internazionale, una boccata d’ossigeno per l’informazione.
Speriamo che la spinta dal basso dei cittadini serva a svegliare la coscienza sporca di chi per anni ha fatto finta di niente. Meglio tardi che mai. Ma continueremo a vergognarci dei frutti tossici della nostra democrazia e ad arrabbiarci per non esserci battuti tutti contro questi mestatori quando i primi segnali sono apparsi. E a non invitare a concionare i fenomeni del Giornalismo Grandi Firme (inutili).