Le complicate relazioni tra Polonia e Ucraina

Un politologo americano, all’indomani della Caduta del muro, sintetizzò la nuova situazione dell’Europa orientale come quella di un lago da cui si erano ritirate le acque e del quale si poteva finalmente vedere il fondo, cosparso di rottami di fasi storiche che si ritenevano concluse.

Il regime sovietico aveva imposto dei rapporti internazionali ‘artificiali’ tra gli stati satelliti che non rispecchiavano quanto invece era accaduto tra i diversi paesi almeno dalla conclusione della Prima guerra mondiale, mentre i rottami sparsi raccontavano una storia diversa.

Tre imperi, ma tanti popoli

Osservando una carta geografica dell’Europa orientale datata 1914 appare subito che le attuali Polonia e Ucraina non esistevano come stati indipendenti. La Polonia era inglobata nell’impero russo e confinava ad occidente con l’impero germanico, mentre l’Ucraina odierna faceva parte anch’essa dell’impero zarista, ad esclusione della regione di Leopoli che costituiva la parte più orientale dell’impero d’Austria.
Nel corso dell’Ottocento, su ispirazione di un politico ed intellettuale polacco, Adam Czartoryski in esilio a Parigi perché in contrasto con il regime zarista, si era sviluppata una corrente di pensiero che guardava ad una federazione dei popoli slavi ‘minori’, che comprendesse grossomodo l’attuale Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia, la parte occidentale dell’Ucraina, Boemia, Moravia e Slovacchia, nonché parti di Ungheria e Romania abitate da popolazioni slave, in generale tutte ‘dominate’ dai tre imperi che esercitavano il potere con estrema durezza.
La federazione avrebbe significato la dissoluzione dei tre imperi ai quali si è accennato, ma il principio federale venne meno via via che si svilupparono diversi movimenti nazionalisti all’interno dell’area che inasprirono i rapporti reciproci.
Doveroso ricordare che anche Giuseppe Mazzini, considerando le popolazioni slave, ne auspicò l’emancipazione dagli imperi, soprattutto confermando da una parte la sua idea dell’Austria-Ungheria come «prigione dei popoli», ma alludendo anche alla Russia zarista: nel 1863 infatti in Polonia era stata spietatamente repressa dai russi l’ennesima insurrezione indipendentista polacca alla quale avevano preso parte anche numerosi italiani, tra i quali il garibaldino bergamasco Francesco Nullo, fucilato dai russi, dopo la resa e a dispetto delle leggi di guerra, a Krzykawka il 5 maggio 1863.

Crollo degli imperi e guerre dopo la Grande guerra

A partire grossomodo dai primi del Novecento dall’utopia di Czartoryski si sviluppò un’altra corrente di pensiero, questa volta più marcatamente polacco-centrica, che fu denominata «Intermarium» (‘tra i due mari’, riferendosi allo spazio dal Baltico al mar Nero) e che, nell’unione dei popoli slavi non-russi, vedeva principalmente la soluzione per una difesa comune sia dalla Germania a ovest, che dalla Russia a est.
Non è casuale che il principale interprete di questa corrente sia stato il nazionalista polacco generale Jozef Pilsudski che, dopo la Prima guerra mondiale e la conseguente scomparsa degli imperi, condusse ben tre guerre per assicurare alla Polonia un ingrandimento territoriale.
Pilsudski infatti affrontò la repubblica nazionale dell’Ucraina occidentale guidata da Simon Pletjura, nata dalla dissoluzione austriaca in Galizia nel 1918, conquistando Leopoli; combattè i lituani conquistando la città di Vilna che poi fu perduta e infine respinse i cecoslovacchi ottenendo parte della Slesia. Non si trattava più comunque dell’utopia dei popoli slavi teorizzata da Czartoryski, quanto piuttosto di mere conquiste territoriali polacche e questi scontri lasciarono una pesante eredità proprio nei rapporti con l’Ucraina occidentale dove si sviluppò per reazione un violento sentimento anti-polacco, soprattutto dopo che, nella regione di Leopoli, abitata in maggioranza da ucraini e con una forte componente ebraica, non furono mantenute le promesse di autonomia.
In Polonia del resto, a parte Pilsudski, si rafforzò anche un movimento nazionalista più conservatore basato sull’identità culturale e religiosa polacca a scapito delle minoranze e che tra l’altro chiuse le scuole ucraine bandendo l’insegnamento della lingua. Fu in questa situazione che si sviluppò un movimento terrorista ucraino guidato da Stefan Bandera che, al culmine dell’attività, uccise nel 1934 il ministro dell’interno polacco Pieracki.

La duplice lotta ucraina

Mentre la lotta politica nella parte occidentale dell’Ucraina diventata polacca ricorreva dunque all’uso delle armi, la situazione nella parte orientale sovietica non poteva dirsi più tranquilla.
Nel 1926, pare su richiesta del consiglio dei commissari del popolo dell’Ucraina, fu assassinato a Parigi dai servizi sovietici Simon Pletjura, ultimo leader della repubblica ucraina, e si scatenarono violente rivolte anti russe: né i soli antagonisti del regime sovietico furono i nazionalisti, perché ad oriente verso il Don si era manifestato un movimento anarchico rivoluzionario guidato da Nestor Machno che fu represso rapidamente.
Ancora più devastante fu la vicenda della grande carestia che provocò milioni di morti, oggi ricordata come Holomodor, la cui responsabilità ricadeva sui vertici sovietici: nel 1934 fu infatti assassinato un funzionario sovietico a Leopoli e pochi anni dopo uno dei capi ucraini fu assassinato a Parigi da elementi del NKVD, progenitore del KGB. Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale è comprensibile che la sconfitta polacca sia stata vista con un atteggiamento particolare e la successiva invasione dell’Unione Sovietica sia stata considerata l’occasione per liberarsi dal giogo sovietico.Accanto alle formazioni partigiane composte da ucraini e guidate dall’Armata rossa, sorsero però anche altre formazioni di diversa ispirazione che furono poi accusate di aver esercitato violenze sulla popolazione polacca, come accaduto tragicamente in Volinia tra il 1943 e il 1944.

Il massacro di Volinia

Durante quel periodo, l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) di Stepan Bandera condusse una campagna di pulizia etnica contro i polacchi nelle regioni che oggi appartengono all’Ucraina occidentale, causando decine di migliaia di vittime. Durante questi tragici eventi, circa 60.000 polacchi furono uccisi nella regione della Volinia e altri 40.000 nell’area orientale della Galizia.
Nel frattempo, la questione delle esumazioni delle vittime, richiesta da Varsavia, è rimasta irrisolta. Recentemente, l’ex ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha evitato di rispondere in modo chiaro riguardo all’esumazione e alle richieste polacche, affermando che le questioni storiche dovrebbero essere affidate agli storici.
Per Kiev il massacro di Volinia fu una tragedia legata al periodo della fine della Seconda Guerra Mondiale, mentre per Varsavia si trattò di un vero ‘genocidio’. Una differenza abissale, non solo semantica ma sostanziale. Nel 2016, il Sejm polacco ha approvato con 432 voti favorevoli e 10 astensioni una risoluzione che riconosce il massacro di Volinia come un genocidio e istituì una giornata nazionale della memoria, celebrata l’11 luglio.
Di fatto, i forti sentimenti nazionalisti di entrambi i Paesi, e la comune causa «anti-russa» potrebbe non essere sufficiente per appianare le divergenze.

 

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