
«Quello che fa il governo di Benjamin Netanyahu è inaccettabile», ha detto Macron il 14 maggio in tv, definendo le operazioni dell’esercito israeliano a Gaza una «vergogna che provoca un dramma umanitario inaccettabile». Qualche giorno dopo la Francia ha firmato un comunicato congiunto con i governi canadese e britannico, in cui – fatto raro sinora – i tre esecutivi affermano «opposizione ferma all’estensione delle operazioni militari israeliane a Gaza. Il livello di sofferenza a Gaza è intollerabile». Fatto ancora più raro, le tre cancellerie hanno minacciato di «non restare con le braccia conserte mentre il governo Netanyahu prosegue queste azioni scandalose», promettendo «misure concrete» come la revisione dell’accordo commerciale Ue-Israele, oggi in fase di «riesamina» a Bruxelles.
Ieri, da Singapore, il presidente della Repubblica ha denunciato «l’embargo umanitario» a Gaza e ha detto che «il riconoscimento dello Stato palestinese non è solo un dovere morale, ma un’esigenza politica -pur precisando da arbitro autonominato che – dovrebbe avverarsi a patto che gli ostaggi siano liberati e che Hamas sia demilitarizzato ed escluso dal governo di ogni futura amministrazione palestinese». Secondo i media francesi, il riconoscimento dello Stato palestinese potrebbe avvenire durante il summit sulla soluzione a due stati che si terrà dal 17 al 20 giugno alla sede delle Nazioni unite a New York. La kermesse sarà presieduta dalla Francia, assieme all’Arabia saudita.
‘La France Insoumise’ l’opposizione di sinistra: «le parole non fermano un genocidio», chiedendo sanzioni immediate e altre misure concrete, «per evitare che la Francia riconosca la Palestina quando ormai non ci saranno più palestinesi».
Reazione israeliana feroce ed isterica. Il ministro Katz spara a zero sul presidente francese, denuncia ancora il manifesto, questa volta Michele Giorgio. Il ministero degli Esteri israeliano non vede «alcuna emergenza umanitaria a Gaza». Dopo che il presidente francese ha dichiarato che i Paesi europei dovrebbero adottare una posizione più dura nei confronti di Israele se non permetterà l’ingresso massiccio di aiuti e il miglioramento della situazione umanitaria a Gaza, il governo Netanyahu ha reagito accusando Macron di aver intrapreso una «crociata contro lo Stato ebraico». Macron, è scritto nel comunicato israeliano, «invece di fare pressione sui terroristi jihadisti, vuole ricompensarli con uno Stato palestinese». Riferimento all’intervento di Macron al forum dello Shangri-La Dialogue di Singapore, in cui il presidente francese ha spiegato che il riconoscimento dello Stato palestinese, a determinate condizioni, è «non solo un dovere morale, ma una necessità politica». Ha poi avvertito che, se le nazioni occidentali «abbandoneranno Gaza e lasceranno che Israele faccia ciò che vuole, rischieranno di perdere ogni credibilità sulla scena mondiale».
Di fatto Macron ieri ha anticipato pubblicamente le sue prossime mosse all’Onu. Parigi sta valutando la possibilità di riconoscere lo Stato di Palestina alla conferenza delle Nazioni unite che Francia e Arabia saudita organizzeranno congiuntamente dal 17 al 20 giugno. Una tabella di marcia verso lo Stato palestinese, «garantendo al contempo la sicurezza di Israele». Ad accrescere le preoccupazioni di Tel Aviv è anche l’annuncio fatto ieri dalla Germania, che si riserva di decidere se approvare o meno nuove forniture di armi a Israele in base a una valutazione della situazione umanitaria a Gaza.
La controffensiva diplomatica israeliana è già in corso da giorni. Il ministro degli Esteri Gideon Saar ha fatto sapere ai governi europei che qualsiasi passo a favore dell’indipendenza palestinese sarà seguito dall’annessione a Israele della Cisgiordania occupata.
E ieri il ministro della Difesa Israel Katz ha aperto un fuoco di sbarramento dichiarando che il governo Netanyahu costruirà «lo Stato ebraico israeliano» in Cisgiordania.
«Questo è un messaggio chiaro a Macron e ai suoi amici: loro possono anche riconoscere uno Stato palestinese sulla carta, ma noi costruiremo lo Stato ebraico israeliano qui sul territorio», ha dichiarato Katz in una nota dal suo ufficio.
«Quella carta finirà nel dimenticatoio della storia e lo Stato di Israele prospererà», ha affermato perentorio. Affermazioni e toni che dicono tutto sul momento che attraversa la democrazia israeliana.
«Che qualcuno possa ancora sperare nella soluzione dei due popoli e dei due stati è oramai un incredibile atto di fede o una nenia consolatoria», denuncia Marco Bascetta. «Così come credere che il governo di Tel Aviv possa desistere dalla conquista di Gaza, dalla deportazione della popolazione palestinese e dalla colonizzazione definitiva della Cisgiordania solo per evitare quella riprovazione del mondo di cui ostentatamente se ne infischia. Perché Netanyahu e i fascisti religiosi che lo sostengono non fanno la guerra, ma la incarnano. Questo e nessun altro è il loro orizzonte esistenziale, la loro assicurazione sul potere e sull’impunità».
«Dunque Netanyahu non può essere fermato, ma potrebbe solo cadere. Non è insomma immaginabile né la pace in Medio oriente né la sicurezza e la prosperità dello stato di Israele con questi protagonisti politici. O qualcuno è in grado di immaginare uno stato di diritto democratico e inclusivo, rispettoso dei diritti umani e del diritto internazionale governato dagli Smotrich e dai Ben Gvir? Da invasati che farneticano della supremazia del “popolo eletto”?». Con Tel Aviv che può contare su un alleato storico come gli Usa, oggi rappresentati da Trump, «un cinico che dello stato di diritto si fa beffe, nonché di possibili interlocutori arabi come l’Arabia saudita che sono agli antipodi di qualunque idea di democrazia».
«Non è facile che il governo bellicista israeliano cada, mentre l’altro fanatico protagonista di questa storia, cioè Hamas, sembra invece prossimo alla disfatta». «Nonostante tutta la corruzione, l’inefficienza e la ferocia dimostrate, la destra israeliana gode di un consenso non indifferente, incattivito, incline al razzismo e alla pulizia etnica, inebriato dal mito della propria superiorità». Testimonianza quotidiana le bande dei coloni armati dediti a uccidere e incendiare coltivazioni e villaggi e infine i giovani squadristi che hanno seminato il terrore tra i commercianti arabi della città vecchia di Gerusalemme con aggressioni minacce e slogan truculenti. Un segnale di pericolo evidente ed estremo.
In gran parte d’Europa, per non parlare degli Stati uniti, il nazionalismo aggressivo, l’islamofobia e il suprematismo bianco, sono in piena espansione e in sintonia con la teoria e la pratica dell’attuale governo israeliano, difficilmente quest’ultimo potrà essere preso seriamente di mira. E dunque la guerra non si fermerà né dismetterà le forme spietate in cui si è espressa fino ad ora. E che ad ogni occasione Netanyahu e i suoi sostenitori orgogliosamente rivendicano. Ad oggi il limite di questo orrore non si vede, ma non possiamo accettare l’idea che non esista né smettere di denunciare le molte complicità che lo differiscono o lo nascondono.