
Peccati capitali
«Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump con la sua politica sciagurata e ossessiva dei dazi e con gli attacchi alla libertà d’opinione e di insegnamento sta distruggendo due pilastri del suo paese e del capitalismo in generale: la divisione (internazionale) del lavoro e l’innovazione permanente».
«La Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith (1723-1790)», testo fondamentale dell’economia moderna, poco frequentato alla Casa Bianca. Il filosofo ed economista scozzese fa capire due cose: che l’economia è una scienza sociale con la produzione e la ricchezza di una comunità (nazione), frutto della collaborazione tra gli uomini, i quali si spartiscono i compiti per conseguire meglio il risultato (la divisione del lavoro non riguarda solo l’interno di una fabbrica, ma l’intero sistema economico). E che la divisione del lavoro è il motore di un’economia.
Dopo Smith, David Ricardo (1772-1823) con la sua teoria dei costi comparati ha dimostrato matematicamente la valenza internazionale – ‘globale’ si direbbe oggi – della divisione del lavoro. Conviene commerciare tra Stati perché si sfrutta la specializzazione che ogni paese consegue grazie alle proprie capacità e/o ai doni della natura. «Se la Scuola classica di Smith e Ricardo ha individuato il motore di quello che poi verrà chiamato ‘sistema capitalistico’, un economista del XX secolo ne ha definito l’essenza.
Joseph Schumpeter (1883-1950), ha esaltato il ruolo dell’innovazione come elemento chiave di questo sistema economico. Con qualche forzatura ideologica, l’economista austriaco vedeva l’imprenditore il promotore dell’innovazione nel sistema. Arrivando a sostenere che il declino di tale figura con l’affermarsi della grande impresa burocratizzata, avrebbe comportato la fine del capitalismo e l’affermarsi del socialismo. E’ accaduto a rovescio. È stata proprio la grande impresa ad assicurare l’innovazione, grazie a maggiori capacità economiche e alla ricerca. Ma Schumpeter però ci ha mostrato che la superiorità del sistema capitalistico sta nella sua capacità di innovare continuamente. «La creazione di un sistema politico e sociale che assicuri libertà di studio, di parola e di ricerca, nonché la libera circolazione delle idee», sottolinea Giovanni La Torre.
«Se gli Stati Uniti sono diventati la prima potenza mondiale si deve all’affermazione di tali principi in ogni loro momento storico, dalla guerra d’indipendenza alla globalizzazione?». Dubbio. Risposta ad autentici valori di libertà o se sia stato l’esercizio di egoistici interessi economici. «Resta il fatto che quei principi si sono affermati e con essi gli Stati Uniti e il mondo intero hanno conosciuto un progresso senza precedenti nella storia».
L’11 novembre 2001 la Cina entra nella ‘Organizzazione mondiale del commercio’. Le ‘è stato consentito o è stata spinta’ ? Idealità liberale o interessi di potenza attraverso la globalizzazione? Ognuno scelga la risposta. Esempio classico e da sempre dibattuto, il Piano Marshall del 1947. Fede nei valori della solidarietà internazionale o, come ha sostenuto qualcuno «dall’esigenza di dare sbocco alla propria sovrapproduzione». Oppure, 1944, riforma del sistema monetario internazionale. Valori morali o interessi nazionali, che avevano a che fare con il ruolo del dollaro? «Quelli che contano sono i comportamenti reali e gli esiti degli stessi», sostiene La Torre.
Donald Trump sta distruggendo tutto questo? «La forsennata politica dei dazi, che mostra sempre più un che di paranoico, rischia di distruggere il libero commercio internazionale che tanta parte ha avuto nello sviluppo mondiale e nella riduzione della povertà. Trump giustifica la sua fissazione con la bilancia commerciale che vede l’America in forte e cronico deficit. Ma questo, è l’effetto della scelta americana di rendere il dollaro la moneta di scambio e riserva internazionale». Il mondo per commerciare aveva bisogno di dollari e quindi tutti cercavano di fornire merci agli Stati Uniti per avere in cambio dollari.
Il meccanismo è stato accettato e anche gradito dall’America, unico paese al mondo a poter avere merci in cambio di cartamoneta. Ma di questo oggi non si parla. Del dollaro si parla solo per una possibile debolezza futura, e di una fuga dai titoli americani, mentre risaltano «gli esiti finali delle politiche trumpiane sulla valuta statunitense e sul sistema monetario internazionale».
«Trump si sta di fatto adoperando per distruggere il sistema esistente, senza rendersi conto che così mina l’egemonia del proprio paese». «Fine dell’egemonia del dollaro e rischio di blocco del commercio mondiale, molto probabilmente gli sfuggono». «Nel momento in cui il dollaro non fosse più valuta per gli scambi internazionali, ogni paese si vorrà liberare di tali riserve accumulate. Come? Restituendoli al paese emittente attraverso l’acquisto di merci americane! Così la bilancia commerciale statunitense tornerebbe in attivo, ma al prezzo della rinuncia alla preminenza monetaria. L’America è pronta a questo?»
In attesa del ‘Bancor’ -l’ipotetica moneta non nazionale per gli scambi internazionali-, si avrebbe la crisi degli scambi internazionali per scarsità di valuta. O continuando a mantenere l’egemonia del dollaro, per gli Stati Uniti il deficit commerciale cronico. «Questo è il dilemma che l’attuale amministrazione americana ha di fronte e si ha l’impressione che non l’abbia ancora compreso».
‘L’era del discontinuo’
Peter Drucker è stato un sociologo ed economista americano (di origine austriaca) particolarmente versato nelle teorie sul management. Nel suo libro scrive che quando in alcuni paesi europei si affermarono i regimi dittatoriali, molti intellettuali e scienziati perseguitati scapparono all’estero. I francesi li accolsero ma li ritenevano una seccatura, gli inglesi lo fecero per assolvere a un dovere civico, gli americani li accolsero a braccia aperte perché capirono che era un affare.