
«L’annuncio del presidente americano Donald Trump della fine di tutte le sanzioni finanziarie e commerciali alla ‘nuova Siria’ dell’autoproclamato presidente Ahmad al-Shara’a (Abu Muhammad al-Jolani) è stato seguito nelle ultime ore dall’analoga decisione da parte dell’Unione Europea», la premessa di Lorenzo Trombetta. Che ci ricorda come prime sanzioni Usa alla Siria risalgono alla fine degli anni Settanta, quasi mezzo secolo fa. Più recenti, più di dieci anni, fa le sanzioni dell’Ue. «Ma tali sviluppi avvengono in un contesto siriano segnato da una sequenza di fatti politici e militari sul terreno. Ultimo, l’attacco non ancora rivendicato contro la base aerea militare russa di Hmeimim, a due passi dalla costa mediterranea della Siria.
La base di Hmeimim, aperta nel 2015 dove rimane una simbolica presenza militare di Mosca, ospita da marzo centinaia di famiglie siriane della comunità alawita, fuggite dai massacri di civili – più di 1.500, inclusi donne e bambini – compiuti dalle milizie filogovernative. Osservatori locali non escludono che si tratti di azioni da parte di miliziani legati al gruppo che ora amministra la Siria, per mantenere alta la pressione sulla comunità alawita siriana, identificata col regime della famiglia Assad. Dopo i massacri di civili alawiti sulla costa, nelle ultime settimane ripetuti attacchi a due sobborghi di Damasco controllati da forze druse, col conseguente innalzamento delle tensioni a sfondo politico e confessionale tra Damasco e Suwayda, il capoluogo della roccaforte drusa nel Sud-Ovest siriano.
«Tolte la sanzioni europee e con l’annuncio della fine quelle americane contro Damasco, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar, e gli Emirati Arabi Uniti hanno accelerato le loro manovre per comprare porzioni dei territori siriani stretti tra Mediterraneo e Mesopotamia, tra Penisola Araba e Anatolia», avverte Trombetta. «Ci si chiede chi in Siria gestirà in le risorse che arriveranno dall’estero e quali saranno le élite chiamate ad amministrare tanti finanziamenti. Ci si domanda in quale meccanismo di estrazione delle risorse e di distribuzione dei servizi finiranno i fondi».
Per ora non ci sono segnali che emergerà un sistema più aperto e trasparente, che possa raggiungere individui e comunità siriane a prescindere dalle appartenenze ideologiche, geografiche e culturali. L’annuncio della fine delle sanzioni è un’ottima notizia per tutti i siriani, ma ci sono forti dubbi su l’eventuale nuovo corso, ancora tutto da definire. Anche perché la dichiarazione di Trump è stata fatta al termine di un vero e proprio scambio. Dare avere. Dare: primo su tutto, la normalizzazione dei rapporti con lo storico ‘nemico’ Israele, che occupa le Alture del Golan dal 1967 e il cui Esercito dall’8 dicembre ha esteso il controllo e l’influenza nelle regioni sud-occidentali siriane, a due passi dal palazzo presidenziale dello stesso al-Shara’a.
Altre questioni riguardano: fine delle attività delle fazioni palestinesi anti-israeliane in Siria; l’espulsione di miliziani non siriani dalla coalizione armata guidata da al-Shara’a; la lotta all’Organizzazione dello Stato Islamico (l’ex IsisI) nelle regioni orientali controllate dagli Stati Uniti, ricche di risorse energetiche. Nei giorni scorsi il segretario di Stato americano Marco Rubio dal premier israeliano Netanyahu ha sottolineato che «una Siria che non più rampa di lancio per gli attacchi contro Israele, costituirà un successo straordinario per la sicurezza dello stesso Stato ebraico». Ma -avvertimento- «Le varie personalità dell’autorità transitoria (siriana) non hanno superato le verifiche dell’Fbi», ha detto Rubio. Al-Shara’a e i suoi fedelissimi visti ancora dalla sicurezza americana come minacce. «Se interagiamo con loro potrebbe funzionare, così come potrebbe non funzionare. Ma se non interagiamo con loro sicuramente non funzionerà», ha affermato Rubio. L’apertura di Trump potrebbe essere rivista o addirittura rinnegata.
Dopo l’annuncio di Trump, l’Arabia Saudita ‘vede ‘opportunità di investimenti’ in Siria, mentre la Turchia cerca il controllo dei canali commerciali e distributivi in tutta la parte settentrionale e centrale del paese. Anche gli Emirati Arabi Uniti ha concluso con le nuove autorità siriane uno storico accordo per lo sviluppo del porto mediterraneo di Tartus, noto per ospitare da decenni la base marittima militare russa. Mentre le funzioni commerciali dell’altro porto siriano, Latakia, rimangono appaltate al colosso francese della Cma-Cgm, che manteneva già il controllo dell’infrastruttura grazie a un accordo decennale con Assad.
Grazie al memorandum d’intesa firmato nei giorni scorsi tra Damasco e Abu Dhabi per un valore di 800 milioni di dollari, il porto di Tartus è destinato a diventare una delle perle tra gli scali marittimi commerciali gestiti dall’autorità portuale degli Emirati (Dubai Ports World). E chissà che in futuro non possa competere con gli altri scali del Levante come Haifa e Beirut.