
«Gli attacchi sono infuriati da entrambi i lati del confine e soprattutto sui media di India e Pakistan, a combattere una guerra a base di chi le spara più grosse’», denuncia Francesca Marino. Un conflitto ‘vinto indiscutibilmente, per Ahmed Sharif Chaudhry, portavoce dell’esercito pakistano.
«Secondo Chaudry, non solo Delhi avrebbe tirato missili terra-terra sulle proprie postazioni e sulla città di Amritsar per attaccare i Sikh e far ricadere la colpa sul Pakistan, ma avrebbe tirato missili anche sull’Afghanistan. Chaudry è stato smentito il giorno dopo sia dai talebani sia da tutti gli analisti in circolazione».
«D’altra parte in India i media tutti non se la passano certo meglio: a guardare le tv locali, il porto di Karachi sarebbe stato distrutto, Lahore ridotta in briciole e via delirando. Come succede in genere in questi casi, attenersi ai fatti dimostrati richiede nervi saldi e una certa dose di concentrazione».
Fatti provati: i pakistani hanno danneggiato in India le basi di Udhampur, Bhuj, Pathankot e Bathinda – sia pur in modo non sostanziale – e ucciso un certo numero di civili bombardando villaggi e cittadine sulla linea provvisoria di confine. Tutto il resto, incluso l’abbattimento di uno o più jet da combattimento indiani, «è nebbia e parole. Lo stesso ministro della Difesa pakistano, alla richiesta di prove dell’abbattimento dei jet, ha dichiarato in diretta: ‘È dappertutto sui social media’». Non è provato nemmeno che Islamabad abbia lanciato un missile balistico con probabile destinazione Delhi, che si dice sia stato intercettato dagli indiani e abbia provocato l’attacco alle postazioni militari di Islamabad.
Di certo l’India ha colpito una decina di postazioni militari pakistane, provocando danni più o meno gravi: notizia confermata da immagini satellitari provenienti sia dall’esercito indiano sia da fonti indipendenti e verificate. Il danno maggiore sia materiale sia di immagine sarebbe stato subito dalla base militare di Nur Khan a Rawalpindi: il cuore del quartier generale dell’esercito pakistano. Secondo Islamabad i missili indiani sarebbero stati in gran parte intercettati e i danni sarebbero stati minimi. Però video pubblicati dalla gente del posto mostrano base colpita e diverse esplosioni secondarie. Inoltre, le immagini satellitari mostrano danni piuttosto consistenti.
La base aerea di Nur Khan è un hub fondamentale per l’aeronautica militare: supporta il trasporto aereo logistico (C-130), il rifornimento in volo (Il-78) e l’addestramento dei piloti, dettaglia Limes. «Non esistono prove definitive che la base ospiti armi o testate nucleari: tuttavia, la sua vicinanza a strutture militari e strategiche sensibili, tra cui la Strategic Plans Division (Spd) che supervisiona l’arsenale nucleare del paese, ha sollevato dubbi e preoccupazioni più o meno fondati». Dubbi legati – si dice – alla ‘mediazione’ Usa. A quanto pare le cose non sono proprio andate come sostenuto da Trump.
Subito dopo l’annuncio di quel bombardamento il New York Times ha pubblicato un articolo basato su ‘fonti anonime’ vicine all’intelligence: secondo la testata, gli americani avrebbero ricevuto informazioni su un evento ‘disastroso che stava per accadere’. Allarme alla Casa Bianca. Non ci sono dettagli più precisi, ma «sarebbe successo qualcosa a Nur Khan, che ha fatto scattare l’allarme a Washington e spinto gli americani ad alzare il telefono. J.D. Vance avrebbe telefonato sia a Modi sia al comando militare di Islamabad chiedendo una via d’uscita ‘onorevole’ dalla situazione e un ‘cessate-il-fuoco’.
Questo mente in Pakistan «manifestazioni di isteria collettiva con le strade piene di gente che celebrava la ‘vittoria’, mentre Chaudry in conferenza stampa proclamava la totale distruzione dell’arsenale indiano, l’abbattimento di una flotta di jet ovviamente la totale assenza di terroristi e campi terroristici in Pakistan». Secondo Chaudry, i funerali di Stato a Muridke erano esequie non di membri del gruppo terroristico Lashkar-i-Toiba ma di poveri civili. E il religioso che ha guidato la preghiera è un ‘chierico locale’. Hafiz Abdur Rauf, «Specially Designated Global Terrorist» sulla lista del dipartimento del Tesoro americano.
«D’altra parte lo stesso Chaudry discende da una impeccabile dinastia di jihadist»i, aggiunge ancora Francesca Martino. Suo padre Sultan Bashiruddin Mahmood era sulla lista dei terroristi internazionali degli Stati Uniti e la sua organizzazione, ‘Ummah Tameer-e-Nau’, è stata sanzionata dall’Onu per aver condiviso tecnologia nucleare con Osama bin Laden e Al-Qaeda. Ma per giunta, papà Mahmood è anche uno scienziato nucleare che ha scritto diversi libri su islam e scienza, arrivando alla stupefacente conclusione che l’elettricità può essere utilmente prodotta dai ‘djinn’ (gli spiriti).
Poi il capo dell’esercito, Asim Munir. Alla conferenza stampa di Chaudry è scappato detto che «L’esercito pakistano è guidato dalla teologia islamica e dalla jihad e che, per fortuna, il generale è un devoto fedele». Ma il generale Asim Munir è scomparso da una ventina di giorni, assente anche a celebrare ‘la grande vittoria delle sue truppe’. Strano, molto strano
Tweet di Trump: «Sono orgoglioso della leadership forte e incrollabile dell’India e del Pakistan, che ha avuto la forza, la saggezza e il coraggio di comprendere che era giunto il momento di porre fine all’attuale aggressione che avrebbe potuto causare la morte e la distruzione di così tante persone e cose». Bravi loro ma soprattutto merito suo. «Sono orgoglioso che gli Stati Uniti abbiano potuto aiutarvi a giungere a questa decisione storica ed eroica. Sebbene non sia stato nemmeno discusso, aumenterò in modo sostanziale il commercio con entrambe queste grandi nazioni. Inoltre, lavorerò con voi per vedere se, dopo ‘mille anni’, si potrà arrivare a una soluzione riguardo al Kashmir».
«Tweet, solo in apparenza fanfarone e stupido», avverte Limes. «Stabilisce l’equivalenza tra l’India, una democrazia basata sul diritto, e il Pakistan che alleva e sponsorizza terroristi oltre a essere governato di fatto da una dittatura militare. Inoltre, come chiedono i pakistani, internazionalizza di fatto la famigerata ‘questione del Kashmir’: per Delhi non è più una ‘questione’ almeno dal 2019, quando Jammu e Kashmir e Ladakh sono diventati territori dell’Unione».
Secondo gli osservatori la nuova tenerezza di Trump per Islamabad rientra nella strategia americana degli ultimi anni verso l’India: alleata necessaria a contenere la Cina, ma poco propensa a fare tutto ciò che chiedono gli americani e ad allinearsi senza discutere alle politiche di Washington. Mantenere una spada di Damocle sulla testa di Delhi farebbe il paio – dicono – con l’aver propiziato il colpo di Stato islamista in Bangladesh.