
Poland’s President Andrzej Duda and premier Donald Tusk
Se quello che manca all’Europa è la stabilità politica, la Polonia in questa fase ne è uno degli emblemi più probanti. Illustrare le posizioni sul campo, vista la frammentarietà degli attori, è abbastanza complicato. Anche perché i due veri ‘competitor’, che si giocano la carica di capo dello Stato, sono espressione di coalizioni assortite, che spaziano, come programmi, dal centro liberal fino alla destra più nazionalista e conservatrice. Sullo sfondo restano, veri convitati di pietra, l’Unione Europea della Von der Leyen e Donald Trump, a ispirare un confronto tra ‘eurofondamentalismo’ e sovranismo.
Dalle parti di Varsavia, la ‘governance’ vive già un momento di «bipolarità» istituzionale. Con un premier (Donald Tusk) che è espressione di un blocco imperniato sui Popolari di ‘Piattaforma civica’, mentre l’attuale Presidente è invece quell’Andrzej Duda eletto dall’ex maggioranza di ‘PiS’, cioè ‘Diritto e Giustizia’, cacciato dal governo nelle ultime elezioni politiche. La coabitazione forzata, tra due personalità con vedute politiche divergenti, provoca un esercizio frequente del diritto presidenziale di veto sulle leggi da promulgare. Insomma, Tusk propone, fa votare e approvare, ma in alcuni casi ‘strategici’, Duda blocca. Ed è questa la prima paralisi di sistema che le elezioni potrebbero contribuire a risolvere. Come? Allineando le cariche, e facendo in modo che il prossimo Presidente appartenga all’attuale blocco di governo centrista che, per l’occasione, presenta un candidato di prestigio, come il sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, che guiderà «Coalizione civica».
Dunque, il premier Tusk, se non vuole continuare a essere ‘anatra zoppa’, come si dice alla Casa Bianca in casi come questo, deve sperare che il sindaco ce la faccia. Diciamo subito che non è facile. La legge prevede una soglia (inarrivabile) del 50% dei voti, per raggiungere la vittoria al 1º turno. E così si andrà sicuramente al ballottaggio, dove Rafal se la dovrà sicuramente vedere con il rappresentante di ‘Destra Unita’, coalizione che raccoglie quasi tutto l’universo conservatore polacco, che poggia su ‘Diritto e Giustizia’. Il partito (accusato di essere autocratico) che ha governato la Polonia per un paio di legislature, punta su Karol Nawrocki, uno storico di Danzica molto conosciuto. I candidati, complessivamente, sono 13. Ma l’unico che ha possibilità (minime) di fare qualche sorpresa è il populista della situazione: Slamowir Mentzen, esponente della formazione estremista di ‘Nuova Speranza’. Si tratta di un partito che, per programmi e radicalizzazione, ha abbondantemente scavalcato pure la coalizione di ‘Destra Unita’, e che sicuramente farà sentire il suo peso al ballottaggio. Una delle caratteristiche di queste elezioni polacche è l’esigua presenza di forze socialiste, a parte qualche candidato di bandiera, che probabilmente misura la sua forza in attesa del 2º turno.
Il caos al quale accennavamo all’inizio, è però rinchiuso principalmente nella contraddizione dei programmi elaborati dai candidati. Diventa difficile etichettare le diverse proposte con un filtro ideologico: su diversi temi, dal fisco all’immigrazione, fino alla rivoluzione energetica, per finire con la guerra in Ucraina, le posizioni si sovrappongono o si elidono a vicenda. Magari con delle rivisitazioni fatte apposta per allargare la base elettorale. Insomma, per dirla tutta, “destra” e “sinistra” in Polonia qualche volta si sganciano dagli schemi classici di interpretazione dei bisogni sociali e delle priorità della politica. La guerra in Ucraina sarà indirettamente uno dei fattori che guideranno il voto.
La Polonia si è molto raffreddata nei confronti di Zelensky, e dopo un’iniziale corsa ai soccorsi di tutti i tipi, oggi riflette. Anzi, in qualche caso fa marcia indietro. A destra in maniera evidente. Al centro in modo più sfumato. Ma gli umori dell’elettorato sono cambiati e Tusk non può presentare il suo candidato come avrebbe fatto due anni fa. Tra l’altro, le destre stanno cavalcando un argomento che potrebbe portare molti voti degli indecisi al ballottaggio. Si tratta di un vecchio contenzioso, esistente tra Varsavia e Kiev, che riguarda la strage di 100 mila polacchi in Volinia, durante la Seconda guerra mondiale. Ma gli ucraini si rifiutano di riconoscere le loro responsabilità. E questo, con l’odio verso i russi e l’invasione del Paese confinante, ha rilanciato il grande dibattito sulla sicurezza nazionale. Tuti i partiti vogliono riarmare la Polonia, anche se con accenti diversi. Il problema è ‘come’ e soprattutto ‘quanto’.
Wladyslaw Kosiniak-Kamysz, Ministro della Difesa e vice Primo ministro ha dichiarato: «Siamo di fronte a un’enorme minaccia. Se non sfruttassimo questa opportunità per rafforzare la nostra sicurezza, sarebbe un fallimento storico e tragico». «La Polonia – scrive l’Economist – sta acquistando centinaia di nuovi carri armati, obici e sistemi missilistici multilancio dalla Corea del Sud. Ma il ministro attribuisce particolare importanza agli acquisti americani per un valore di quasi 60 miliardi di dollari, tra cui un accordo da 10 miliardi di dollari per 96 elicotteri d’attacco Apache e 2,5 miliardi di dollari per l’Integrated Battle Command System, un hub digitale per i missili di difesa aerea Patriot.
Se Kosiniak-Kamysz sottolinea l’importanza dell’armamentario americano – aggiunge l’Economist- è perché il suo vero pubblico è la Casa Bianca. Trump ha proposto un obiettivo di spesa per la difesa pari al 5% del Pil per i membri della Nato. «La Polonia – osserva il ministro -, è l’unico membro che sta già pianificando di raggiungerlo». Calcola di aver speso il 4,1% nel 2024 e di raggiungere il 4,7 quest’anno. «Abbiamo fatto ciò che Trump si aspettava – conclude Kosiniak-Kamysz – La Polonia può essere ‘un ponte tra l’Unione Europea e l’America’».
In tempo reale è arrivata la risposta del candidato dell’opposizione nazional-populista, Nawrocki, che una settimana fa ha incontrato Trump alla Casa Bianca. Creando, di fatto, una linea diretta.