L’America non compra: crolla l’export della Cina e alla Casa Bianca si litiga

La guerra commerciale di Trump sta costellando i mercati di ‘cadaveri’, in patria e all’estero. Dopo i dati sconfortanti sul Prodotto interno lordo americano, che fanno presagire tempi bui, adesso arrivano, a specchio, quelli sull’economia cinese, con il crollo progressivo dell’export. Calo degli ordinativi di materie prime e semilavorati ‘da magazzino’. Quando si riducono le scorte, significa che le aziende prevedono di lavorare di meno, tagliando la produzione.

 

Dazi: una guerra che lascia solo cadaveri

«I dazi elevati imposti dagli Stati Uniti – scrive il Wall Street Journal – hanno colpito duramente gli ordini di esportazione e la produzione nelle fabbriche del Paese. Secondo i sondaggi pubblicati mercoledì dall’Ufficio nazionale di statistica cinese, ad aprile l’indicatore dei nuovi ordini all’esportazione è sceso al livello più basso da quando il Covid-19 ha devastato il Paese nel 2022, mentre l’attività manifatturiera complessiva in Cina è stata la più debole in più di un anno. Questa brusca flessione – spiega il Journal – dimostra che i dazi esorbitanti del Presidente Trump sulle importazioni cinesi stanno iniziando a mettere a dura prova il motore dell’economia, aumentando la pressione su Pechino, affinché intensifichi gli sforzi di stimolo per sostenere la crescita».

La risposta di Xi Jinping a Trump

Xi Jinping deve, dunque, rispondere in qualche modo alla strategia trumpiana, che è quella di sfruttare i dazi doganali anche come clava (o, forse, sarebbe meglio dire arma di ricatto) per ottenere vantaggi politici più estesi. La parte più complicata della questione è che nemmeno i cinesi riescono a capirci niente, trovandosi davanti un interlocutore volubile, e assolutamente inaffidabile. L’estrema variabilità degli umori presidenziali a stelle e strisce, rende difficile l’elaborazione di qualsiasi strategia commerciale di lungo periodo. Per questo, scottato, anzi, ustionato dalle continue giravolte tariffarie di Trump, Xi Jinping ha scelto (saggiamente) la filosofia del «wait and see». Cioà, aspettare gli eventi (visto che la trottola, girando, prima o dopo si dovrà fermare) per poi agire, con una maggiore probabilità di siglare un accordo soddisfacente.

Pace o guerra con ‘GiranDonald’

In pratica, dicono le solite voci bene informate, ai vertici del potere cinese si vuole aspettare la scadenza dei 90 giorni di moratoria sui dazi, proclamata da Trump (che non riguarda la Cina), prima di scegliere tra guerra o pace commerciali definitive. Questo, per far ‘sedimentare’ le varie proposte e gli accordi che faranno gli altri ed eventualmente regolarsi di conseguenza, sulla fattibilità di un’intesa che duri nel tempo. E qui siamo al nocciolo del problema: i cinesi non si fidano di Trump e temono i suoi giri di valzer, che in un’economia planetaria, che ormai sposta trilioni di dollari ogni giorno, sarebbero catastrofici. Specie per un sistema-Paese rigidamente pianificato, come quello del colosso asiatico. Dunque, prima di agire, aspettano, osservano e indagano. Sono sicuri di avere scoperto delle crepe vistose nell’Amministrazione repubblicana Usa, per quanto riguarda la politica dei dazi verso la Cina.

Ma alla Casa bianca si litiga

«Esclusiva – titola il South China Morning Post di Hong Kong – Una Cina più forte attende di vedere quale consigliere di Trump avrà la meglio sui dazi». E ancora: «Pechino sta rinviando i colloqui commerciali per determinare quale direzione prenderà il vento nella Casa Bianca divisa, affermano alcune fonti». Alla corte di Xi Jinping, la vera «anima nera» di Trump, il falco anticinese per eccellenza, viene considerato Peter Navarro. È lui l’architetto dei dazi doganali e sarebbe stato sempre lui a suggerire al Presidente il giro di vite protezionistico, per fare la pelle (in tutti i sensi) alla Cina. In effetti, il curriculum di Navarro parla da solo e lo descrive come un infoiato sostenitore di una dottrina economica ottocentesca, che sembra uscita dalle nebbie del tempo, e che predica dazi, tariffe e gabelle, all’ombra di austere dogane, per sanare il cronico rosso della bilancia commerciale americana. E se il «diavolo tentatore», che ti affossa prima di tutti gli altri è la Cina, allora bisogna distruggerla, anche a costo di sparare nel mucchio.

Schieramenti incerti, sempre a banderuola

Ecco come il South China Morning Post descrive lo stallo conseguente nei negoziati: «Non ci sono segnali chiari su quale cricca vincerà, ha detto la nostra fonte, riferendosi ai vari schieramenti dei principali consiglieri di Trump. Tre dei principali consiglieri commerciali del Presidente – aggiunge il quotidiano – hanno opinioni divergenti su come rapportarsi con la Cina. Peter Navarro e Robert Lighthizer sono noti per le loro posizioni fortemente protezionistiche e per la loro difesa del disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina. Mentre Scott Bessent, il Segretario al Tesoro, ritiene possibile raggiungere un accordo per riequilibrare il sistema commerciale. La fonte ha affermato che le differenze di opinione e l’incertezza circa la decisione finale di Trump hanno reso Pechino riluttante ad avviare i colloqui».

Ora anche i dubbi di Musk

Ma c’è una novità: anche Elon Musk si è imbarcato sulla zattera dei ‘rivoltosi’ che cercano di arginare il potere di ‘Mefistofele-Navarro’. Il chiacchierato consigliere di Trump (e capo di Tesla), ha aperto una furibonda polemica contro la politica dei dazi della Casa Bianca, sparando a palle incatenate proprio contro Navarro e dicendogliene di tutti i colori. Si racconta che proprio l’asse Bessent-Musk stia lavorando per ammorbidire gli sconclusionati furori tariffari di Trump. Anche se l’ex palazzinaro, ridiventato Presidente, non si smentisce mai: sta per promuovere il ‘plenipotenziario giusto’ per affossare le trattative. Si tratta di Paul Dabbar, nuovo vice al Dipartimento del Commercio. Un falco? No, da come parla sembra più un avvoltoio, pronto a banchettare con la carcassa dell’industria cinese più avanzata.

«L’ America deve reindustrializzarsi e ridurre la sua dipendenza dalla Cina in tecnologie critiche, come i semiconduttori, i 6G e l’informatica quantistica», ha detto giovedì Dabbar ai senatori durante l’udienza di convalida. E così la guerra dei dazi diventa un grande Gioco dell’oca: si tirano i dadi e, se va male, si torna alla casella da cui eravamo partiti. Rimandando tutto al prossimo lancio.

Tags: Cina dazi Usa
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