Anche sull’Iran ora Trump fa marcia indietro

Anche gli israeliani, presi alla sprovvista, stanno cominciando a fare i conti con il ‘metodo Trump’, governance ondivaga, volubile e quasi capricciosa. Un approccio, tattico e strategico, che lascia spiazzati, sia in politica estera che in economia. Nel caso specifico, a Tel Aviv montano le polemiche sul deciso cambiamento di linea della Casa Bianca, per quanto riguarda il nucleare iraniano.

La madre di tutti gli incubi israeliani

Ovverossia, la madre di tutti gli incubi per qualsiasi Primo Ministro d’Israele e, in particolare, per Netanyahu. Ieri, il Segretario di Stato, Marco Rubio, ha praticamente ridotto (per ora) quasi a zero la possibilità che gli Stati Uniti si impegnino in una eventuale guerra diretta contro gli ayatollah. Insomma, la paura che la teocrazia sciita persiana possa costruirsi una bomba atomica, ancora non è tale (almeno a Washington) da giustificare un intervento giudicato ad alto rischio. «Se l’Iran vuole un programma nucleare civile – ha detto Rubio in un’intervista a The Free Press – può averlo, proprio come lo hanno molti altri Paesi al mondo, e cioè importando materiale arricchito».

Uranio non troppo ‘arricchito’

«C’è la possibilità – ha proseguito l’ex senatore della Florida – di un programma nucleare civile e pacifico, se lo vogliono. Ma se insistono sull’arricchimento, saranno l’unico Paese al mondo a non avere un ‘programma bellico’, tra virgolette, ma ad arricchirlo. E quindi penso che questo sia problematico».

Dietro front, indietro marsc

Una marcia indietro sorprendente, se confrontata con la retorica incendiaria di Trump che, alternando bastone e carota, in precedenza aveva minacciato Teheran di ‘devastanti conseguenze’ in caso di mancato accordo. E, per rendere i suoi avvertimenti ancora più persuasivi, il Presidente Usa aveva addirittura spostato una formazione di ‘bombardieri invisibili B-2’ nello scacchiere dell’Oceano indiano. Una mossa per mettere nel mirino delle bombe anti-bunker da 15 tonnellate, gli impianti di arricchimento dell’uranio degli ayatollah. Dunque, adesso cambiano tutti gli scenari e occorre ricominciare a costruire piani alternativi di risoluzione della crisi? In questo ginepraio ‘persico’, forse l’unica cosa certa è… l’incertezza. Quella dell’indirizzo diplomatico americano, che parte dal Dipartimento di Stato, ma che sostanzialmente arriva dalla Casa Bianca.

A Netanyahu non tornano i conti

E qui torniamo al nostro incipit, spiegando perché l’attuale governo Netanyahu abbia fatto dei conti, che adesso non tornano più. Lo rivela, con uno scoop, il Jerusalem Post, uno dei più importanti giornali israeliani, che fa la storia delle riunioni segrete, tenute dai vertici politici e militari, sullo scottante argomento di un eventuale massiccio attacco all’Iran. Agli incontri iniziali parteciparono il Primo ministro Benjamin Netanyahu, l’allora Ministro della Difesa, Yoav Gallant, l’allora capo delle IDF Herzi Halevi, gli allora Ministri della Guerra Benny Gantz e Gadi Eisenkot e il direttore del Mossad, David Barnea. Questi confronti si tennero ad aprile dell’anno scorso, dopo che Teheran aveva attaccato con180 missili balistici, 170 droni e decine di missili da crociera. Israele rispose il 19 aprile 2024 attaccando un sistema di difesa antiaereo S-300, che proteggeva l’impianto nucleare di Isfahan.

Lo Stato ebraico contro il mondo?

«Lo Stato ebraico – scrive il JP – non ha mai preso seriamente in considerazione l’idea di attaccare i siti nucleari dell’Iran nell’aprile 2024, come invece fece nell’ottobre 2024, ma quel primo scontro diretto tra le due parti ha preparato il terreno per un seguito ben più drammatico». In sostanza, le cose cambiarono al secondo assalto, avvenuto a ottobre, dopo che gli ayatollah avevano lanciato verso Israele altri 200 missili balistici. Questa volta Netanyahu fu più aggressivo nelle riunioni di Gabinetto, spingendo per estesi bombardamenti. Così viene descritta la vicenda dal Jerusalem Post: «Si decise di colpire i quattro sistemi di difesa missilistica S-300 rimasti a Teheran, nonché più di una dozzina di altri obiettivi di produzione di missili balistici e di difesa aerea, nonché un obiettivo legato al nucleare a Parchin, il 26 ottobre».

Missili balistici dell’Iran

L’impatto dell’attacco – aggiunge il report del JP – è stato quello di ridurre la capacità produttiva di missili balistici dell’Iran da 14 nuovi missili alla settimana a uno alla settimana, con un tempo di recupero da uno a due anni. In termini di impatto sulle capacità radar, di tracciamento e di difesa aerea dell’Iran, l’attacco di Israele ha lasciato il programma nucleare iraniano completamente vulnerabile, rispetto alle capacità dell’aeronautica militare. «Perché allora Israele non ha immediatamente lanciato il fatidico attacco al programma nucleare iraniano il 27 ottobre, o nel ‘periodo di transizione’ della Casa Bianca, tra il 26 ottobre e il giorno dell’insediamento del 20 gennaio?» Sembra chiaro. Anche se il Post non lo scrive espressamente, Netanyahu stava solo aspettando l’esito delle elezioni americane.

Il vuoto tra Biden e Trump sfumato

Con Trump al potere, l’attacco sarebbe stato assicurato. Il periodo migliore? La fase di transizione, cioè il periodo fino al 20 gennaio che separa la data delle Presidenziali (5 novembre) dall’insediamento. In questo arco di tempo, Biden sarebbe stato un Presidente ‘dimezzato’ e Trump non sarebbe stato coinvolto. Invece, dentro il Governo israeliano sono venute a galla nuove “resistenze”. Tra Hezbollah, Gaza, Houthi e malumori interni (l’economia sta andando a catafascio) si è preferito frenare. Pensando poi di liquidare la partita al momento opportuno, grazie anche al feeling con Trump. Il quale, forse, aveva promesso qualcosa al suo amico Netanyahu, prima di rimangiarsela. Il resto alla prossima puntata.

 

Tags: Iran Israele
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