
Analoghi post sono stati cancellati sugli altri social media. La motivazione non può essere stata che politica, un contrordine da parte dei vertici del ministero dopo la loro pubblicazione da parte dello staff. La ragione? «Le parole di condanna espresse più volte dal Santo Padre per la carneficina di Gaza e per i massacri inflitti dall’Israel Defense Force contro la popolazione palestinese dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 condotti da Hamas nello Stato Ebraico, che hanno scatenato diciotto mesi di rappresaglia israeliana», denuncia Andrea Muratore.
La toppa peggiore del buco. Il Jerusalem Post ha raccolto voci dei funzionari del ministero degli Esteri di Tel Aviv che hanno confermato che il tweet e i messaggi sono stati pubblicati per errore. «Abbiamo risposto alle dichiarazioni del Papa contro Israele e la guerra durante la sua vita, e non lo faremo dopo la sua morte. Rispettiamo i sentimenti dei suoi fedeli», hanno dichiarato i funzionari, quasi in una ‘excusatio non petita’ sulla cancellazione dei post che va di pari passo col totale silenzio di Netanyahu sul pontefice.
Per Israele ha parlato solo il presidente della Repubblica Isaac Herzog, che commemorando il Papa si è auspicato che «la sua memoria possa ispirare atti di gentilezza e speranza per l’umanità», mentre il governo nazionalista di Netanyahu, il cui Likud è alleato alle destre identitarie e religiose, non ha proferito parola. E InsideOver segnala che «il ministero degli Esteri ha emesso una direttiva che ordinava a tutte le missioni diplomatiche israeliane di cancellare qualsiasi post relativo alla morte del Papa, senza fornire alcuna spiegazione», mentre agli ambasciatori è stato intimato «di non firmare libri di condoglianze presso le ambasciate vaticane in tutto il mondo».
Papa Francesco è stato colpito da una ‘damnatio memoriae’ già nelle prime ore dopo la sua morte, per aver avuto la forza di dire al mondo la verità su Gaza, con parole semplici e profonde. Definendo i massacri nella Striscia ‘crudeltà’, chiamando tutte le sere la parrocchia della Striscia per confortare i fedeli, invitando alla fine dei bombardamenti e alla mediazione, a quel «coraggio del negoziato» auspicato anche per altri teatri bellici come l’Ucraina. Non bastava, per Israele, il fatto che Jorge Mario Bergoglio abbia anche sempre contrastato l’antisemitismo e invitato alla concordia e al dialogo interreligioso.
In occasione della sua morte il Times of Israel ha ricordato che Francesco è stato «il terzo papa consecutivo a definire l’antisemitismo un peccato incompatibile con la fede cristiana», e inoltre da pontefice «visitò Auschwitz e, mentre era in Israele, compì il primo pellegrinaggio di un papa alla tomba del visionario sionista Theodor Herzl. Condannò regolarmente l’antisemitismo, definendolo né umano né cristiano». Anche nel suo ultimo messaggio Urbi et Orbi di Pasqua, Francesco non ha fatto distinzioni e si è detto «vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese».
Definire queste parole le uscite di un nemico di Israele o di un pregiudiziale critico sullo Stato Ebraico sarebbe quantomeno ingeneroso e fuorviante. A meno di non sposare la visione assolutista del governo di Netanyahu, per cui esistono amici o nemici, senza via di mezzo. E anche la morte di un Santo Padre che ha pregato al Muro del Pianto e mai disconosciuto il diritto di Israele a esistere, rifiutandosi però di avallarne le politiche come suo ‘cappellano’, finisce per diventare oggetto di strumentalizzazione.
Pope Francis places a prayer paper at the Western Wall, Judaism’s holiest site, in Jerusalem’s Old City on May 26, 2014.