
Per la Francia, la mossa dell’indigesto Presidente americano ‘quasi ‘a orologeria’, giunge a complicare una situazione finanziaria con qualche luce e parecchie ombre. Ancora è troppo presto per fare previsioni, ma si teme che i molti settori colpiti dalla mannaia daziaria trumpiana, finiranno per penalizzare gravemente l’economia dell’Esagono. Facendo saltare il banco, cioè i conti. Insomma, non è più tempo di «macronate televisive» e, specie dopo il recente ‘affaire Le Pen’, non bisogna soprattutto sbagliare una sola mossa, perché ci vuole poco a ritrovarsi mezzo Paese nelle piazze.
Lo sa benissimo anche Macron, che ha subito convocato all’Eliseo i rappresentanti dei settori industriali più colpiti. Il Presidente ha parlato di una misura «brutale e infondata, perché non si correggono gli squilibri commerciali imponendo tariffe. I fondamenti della teoria economica dimostrano il contrario». Macron ha annunciato poi reazioni dure e coordinate di tutta l’Europa, lanciando un avvertimento a quei Paesi «che volessero giocarsela da soli». Bisogna restare uniti, ha concluso, e congelare immediatamente tutti gli investimenti negli Stati Uniti. Detto così sembra facile. Ma il Ministro Eric Lombardi che, al di là della carica un po’ napoleonica (Responsabile dell’Economia, delle Finanze e della Sovranità Industriale e Digitale francese), in sostanza ha la ‘mission’ quasi impossible di mettere una pezza allo sbalestrato bilancio dello Stato, la vede in salita.
Lombardi, colpito dalla portata planetaria dei dazi e dai primi preoccupanti scossoni dei mercati, ha già messo le mani avanti con una dichiarazione che è tutta un programma: se la guerra commerciale peggiora, la Francia non taglierà la spesa pubblica e non metterà manco tasse. Miracoloso. E che farà, dunque, Monsieur Macron-Stranamore? Semplice, riempirà i francesi di debiti, il trucco migliore per scaricare tutte le bollette delle sue nevrosi di grandezza sulle spalle delle future generazioni. Il comunicato emesso ieri da Bercy, sede del Ministero, parlava chiaro e anticipava la possibilità che, «per colpa dei dazi», potesse saltare l’obiettivo di contenere il rapporto deficit/Pil entro il 5,4%. Si tratta di un indicatore già fin troppo elevato, che segnala le pessime condizioni di salute delle finanze pubbliche transalpine. Il ministro ha anche sostenuto che «se una grande azienda accetta di aprire una fabbrica negli Stati Uniti, le sta dando un punto d’appoggio.
«Il loro vero obiettivo è quello di reindustrializzare il Paese e costringere i gruppi a venire a produrre negli Stati Uniti, per evitare i dazi doganali. Vogliono prosciugare l’economia mondiale per il proprio tornaconto. Non dobbiamo permettere che questo ci accada». Tuttavia, come abbiamo detto, in questo momento la vera urgenza, scatenata dalle strategie commerciali di Trump, è quella che si ritorce, con un effetto domino, sui conti pubblici francesi. C’è in corso un vero e proprio regolamento dei conti, all’interno della Commissione Finanza parlamentare. Veleni, sospetti e accuse reciproche. Qualcuno ha sbagliato a fare i conti ai vertici dello Stato. Mancano miliardi e miliardi di euro previsti in bilancio, che adesso arranca addirittura verso un coefficiente del 6% di deficit/Pil. Roba sudamericana, altro che Europa! E in questo scasso, Macron che fa? Decreta che la Francia è vicina alla Terza guerra mondiale e che quindi deve spendere. E spandere.
Ecco come un report di Le Figaro descrive l’improvvisa ‘rivoluzione strategica’ all’Eliseo, e il suo possibile impatto sulle politiche di sicurezza di Parigi. «Emmanuel Macron – scrive il giornale – vuole trarre le dovute conclusioni dal disimpegno americano in Europa. Cosa succede se? Il solito vecchio ritornello: se i bilanci delle Forze armate aumentassero, dove verrebbero investiti questi soldi? Macron vuole destinare a questo obiettivo circa il 3 – 3,5% del Pil, rispetto all’attuale 2,1%. Gli stanziamenti destinati alle Forze armate sono deliberati nella legge di programmazione militare, quella attuale copre il periodo 2024-2030 e conta 413 miliardi di euro. Se la Francia spendesse il 3,5% del suo Pil (sulla base del Pil attuale), stanzierebbe 70 miliardi di euro all’anno per la difesa. Se un surplus è sempre ben accetto – conclude un ufficiale citato da Le Figaro – probabilmente non consentirebbe un cambiamento nel modello militare».
Nel seguito dell’articolo, viene spiegato che, per sostituire efficacemente il ritiro americano dall’Europa, occorre cambiare radicalmente il modello di difesa. Operazione dal costo spropositato, che comporta anche una profonda reimpostazione dell’apparato produttivo specifico. Cioè, per essere chiari, bisogna creare le condizioni istituzionali per ‘trapiantare’ un complesso militare-industriale che, al netto dei costi fissi, possa produrre vantaggiosamente nel lungo periodo.
Ma allora, ve l’immaginate un impianto che costa miliardi e che produca solo ‘beni’ che abbiano un’altissima probabilità di restare in un fondo di magazzino? L’unica risposta possibile è sì, se si tratta di armi e munizioni. Forse è per questo, però, che, nonostante tutti i suo i acciacchi finanziari, il problema numero uno della Francia non sono i debiti, ma è Putin.