
L’Inizio durante la pandemia, quando il governo di Alberto Fernandez congelò le pensioni. La stragrande maggioranza dei pensionati argentini è costretta a cercare un lavoro per riuscire a sopravvivere. Attualmente, le pensioni rappresentano solo un quarto del paniere ufficiale per la terza età. «Ad aprile riceveremo 355mila pesos, mentre il minimo necessario per sopravvivere è stato stimato in 1,2 milioni». La catastrofe con l’arrivo di Javier Milei alla Presidenza. Il 25% dei tagli imposti dall’esecutivo per raggiungere il pareggio di bilancio, fiore all’occhiello del ‘piano motosega’ in atto, ha colpito i pensionati, principali vittime dell’austerità.
A settembre, il presidente ha imposto il veto alla legge che prevedeva un lieve aumento delle pensioni minime, definendo i parlamentari «depravati fiscali». Da allora è scontro aperto. «Chiediamo il ripristino dei sussidi per i farmaci». Da agosto, il governo fa pagare il prezzo intero, «un costo insostenibile». Ma con l’accordo col Fondo monetario internazionale si parla addirittura di un aumento dell’età pensionabile, la trasformazione delle minime in un sussidio e la privatizzazione del sistema previdenziale. E il governo ha usato le proteste come test per il ‘protocollo anti-manifestazioni’ della ministra Patricia Bullrich. Negli ultimi due mesi, le immagini di pensionati sgomberati con la forza dalla Piazza del Congresso sono abituali.
A marzo, la foto di un anziano bastonato da un poliziotto ha scosso il paese. Indossava la maglietta del Chacarita, la cui tifoseria ha deciso di unirsi alla protesta il mercoledì successivo. L’iniziativa si è estesa e il 12 marzo tutte le curve hanno dato vita a un corteo nazionale per i pensionati, represso con ferocia. Gli ultras dell’Estudiantes de La Plata. «I pensionati ricevono assegni miseri e il governo ha tolto loro persino i farmaci. Abbiamo subito la repressione, ma siamo rimasti al loro fianco. Il mercoledì successivo siamo tornati in piazza. Perché un giorno anche noi saremo pensionati, e perché, come diceva Diego Armando Maradona, ‘bisogna essere veramente un cagasotto per non appoggiare i pensionati’».
Con i nuovi ‘aiuti’ dal Fmi il debito vola a 65 miliardi. L’economista Hernán Lechter citato da Federico Larsen sul manifesto spiega che sarà l’ennesimo fallimento. 70 anni di prestiti, 24 programmi, zero successi e una costante: la fuga dei capitali. L’Argentina, è il paese più indebitato della storia col Fondo monetario internazionale, ha ottenuto un nuovo pacchetto di aiuti da 20 miliardi di dollari. Sommato ai precedenti il debito con l’organismo internazionale sfiora i 65 miliardi, cifra record che il presidente Javier Milei ha celebrato come un successo. Ma una legge del 2019 obbliga il governo a far approvare in Parlamento ogni nuovo indebitamento internazionale, dunque l’opposizione non considera legale il nuovo debito e potrebbe
Il rapporto tra Argentina e Fmi è antico. Nel 1948 il paese rifiutò di entrarne a far parte, ma dal 1956 – dopo il golpe che destituì Perón riallineando l’Argentina agli Usa – ha fatto ricorso al Fondo più di qualsiasi altro Stato. Da allora l’Argentina ha vissuto sotto i programmi dell’ente per 45 anni, e nessuno dei 24 programmi approvati in questi 70 anni ha raggiunto gli obiettivi previsti. «Di fatto, l’Argentina ha avuto risultati migliori nei periodi senza il Fondo», afferma Hernán Lechter, prestigioso economista e presidente del Centro de Economía Política Argentina (Cepa). Nel tempo, la situazione è peggiorata e il debito, che nel 1975 era di 5 miliardi di dollari, è schizzato a 70 miliardi nel 1989 e da allora non ha fatto che crescere.
Ancora Lechter. «Ogni volta che il Fondo elargiva una tranche di aiuti, il denaro scompariva appena arrivato a Buenos Aires. Si potrebbe dire che il Fondo abbia facilitato l’uscita dal paese di grandi fondi di investimento, come BlackRock, che volevano ritirarsi dall’Argentina ma non trovavano abbastanza dollari per farlo. L’interesse primario è stato consentire l’uscita dei grandi capitali, impedendo l’uso di quei dollari per lo sviluppo». Secondo dati ufficiali, gli argentini detengono 452 miliardi di dollari, circa il 60% del Pil annuo, all’estero. «L’economia argentina funziona da sempre con il freno a mano tirato e deve compiere sforzi doppi per avanzare».
Le crisi ricorrenti hanno imposto un modello imprenditoriale basato sulla logica della rendita: massimizzare i profitti nel presente senza pensare al futuro. «È una mentalità che riflette il disinteresse della classe dirigente argentina per un progetto di sviluppo che includa l’intera popolazione». E l’arrivo al potere di governi come quello di Milei, acuisce l’interesse di certi settori per garantire i propri guadagni, con l’Fmi con un ruolo fondamentale.
«Durante il dibattito sull’approvazione del decreto, un deputato mi ha detto testualmente di aver ricevuto telefonate per convincerlo a non votare contro. Alla fine si è astenuto. Ma questa frase – conclude Lechter – è indicativa delle pressioni esercitate dai grandi imprenditori sulla politica per mantenere l’attuale corso economico».