
Le concessionarie stanno gestendo rientri di Tesla a ritmi record. In Borsa gli investitori hanno spinto il titolo in ribasso del 50% dai picchi post elettorali. Per un’azienda automobilistica il marchio, il brand, rappresenta il polo di attrazione principale per i consumatori. I grandi marchi non vendono motori, bensì status symbol, eleganza, potenza, sicurezza.
Tesla oggi significa Musk, l‘uomo più ricco del mondo che vuole diventare anche il più potente. In America significa soprattutto tagliatore di posti di lavoro. In Germania è lo sponsor politico dell’estrema destra di Afd e il calo delle vendite nel mercato tedesco è stato del 70% a febbraio, come certificato da Acea, l’associazione dei produttori europei. Siamo di fronte a un mix letale di aggressività e arroganza in grado di generare pesantissime alterazioni alla percezione di Tesla sul mercato, tanto quanto il batterio della xylella fa agli ulivi. Una tragedia per gli esperti di marketing che elaborano costose strategie sulla brand reputation, la reputazione del marchio, ovvero come viene recepito un prodotto in un mercato evoluto composto da consumatori sempre più attenti e critici.
Gli analisti dell’industria dell’auto individuano il calo anche nell’accresciuta concorrenza cinese di Byd e nella e la mancanza di modelli economici che fanno costare Tesla più di altri veicoli elettrici. Il modello Y di medie dimensioni e a più buon mercato deve ancora essere lanciato. Ma tutti concordano che ciò che ha contribuito in modo significativo al calo delle vendite è il ruolo politico di Musk, dal Doge americano alle sortite nell’ultra destra europea.
In questi giorni si è, inoltre, aperto un altro fronte anti-Musk. La sua recente visita al Pentagono è diventata il simbolo stesso della controversia attorno al tycoon. Al Pentagono Musk ci è andato ufficialmente per verificare l’efficienza organizzativa, ovvero tagliare un po’ di posti di lavoro. Il New York Times ha però rivelato che Musk avrebbe ricevuto un briefing ultra-riservato su Pechino, compresi dettagli bellici operativi. Smentite, minacce e denunce da parte sua e del capo del Pentagono, l’ex conduttore televisivo Pete Hegseth. Peccato che il conflitto di interessi sia certificato dal rapporto di fornitore da parte di Space X che incassa circa 40 miliardi di dollari dalla Difesa Usa.
L’opinione pubblica americana, per quanto obnubilata dal ciclone prodotto da Trump, non accetta deroghe sulla sicurezza nazionale. La condivisione di segreti militari non può essere gestita con chi non ha incarichi istituzionali nel governo degli Stati Uniti. La visita al Pentagono ha così costretto Trump ha dichiarare che i faccia a faccia tra Musk e Hegseth erano informali, su aspetti non classificati, dedicati a tecnologia e innovazione. Poi, il solito effluvio di accuse ai media di diffondere notizie false.
Nonostante ciò, il Wall Street Journal ha risolto il giallo del vertice lasciando aperti molti interrogativi: il briefing è stato in realtà ripensato in fretta proprio perché era venuto alla luce, eliminando componenti top secret che minacciavano oltretutto di sollevare timori di sicurezza nazionale visti gli stretti e amichevoli rapporti di Musk con la Cina, dove ha la principale fabbrica Tesla.
Se la questione dei rapporti di Musk con il Pentagono mette in luce la natura tecno-golpista della Presidenza di Donald Trump, nell’arena competitiva dei mercati il marchio Tesla sta soffrendo dei danni d’immagine che non sarà facile riparare. Ce n’è abbastanza per accendere l’allarme rosso e Musk sta convocando meeting con i dipendenti per rassicurarli sul suo impegno in azienda. Se l’opposizione politica alla deriva autocratica degli Stati Uniti è pressoché assente, sono ancora una volta i mercati a non guardare in faccia nessuno.