
Spiegando perché i tassi sono stati mantenuti invariati, il presidente della Fed Jerome Powell aveva descritto l’incertezza affrontata dai responsabili della Fed come «insolitamente elevata». Con il ‘sentiment generale’ in calo a causa delle turbolenze politiche, si prevede che i prezzi aumenteranno più rapidamente di quanto previsto in precedenza, almeno in parte, e forse in gran parte, a causa dei piani di Trump.
La Fed ha dichiarato di aspettarsi che l’economia cresca dell’1,7% quest’anno, al di sotto della precedente stima del 2,1%. Si prevede, inoltre, che il tasso di disoccupazione del 4,1% salirà al 4,4% entro la fine dell’anno, al di sopra della previsione di dicembre del 4,3%, secondo la stima mediana della Fed. Ciliegina finale sulla torta preparata per il ‘Re di Manahattan’: la Fed ha annunciato di aver mantenuto il suo tasso di riferimento, il cosiddetto ‘overnight’, stabile nell’intervallo 4,25%-4,50%. E la risposta dei principali indici azionari statunitensi alle dichiarazioni della Fed è stata sostanzialmente positiva. Azioni in leggero rialzo, il dollaro sceso inizialmente di poco e ritornato ad oscillare. Gli investitori valutano al 62% la possibilità che la banca centrale americana tagli i tassi nella riunione di giugno, rispetto al 57% prima della pubblicazione. I mercati, quindi, hanno accolto favorevolmente la prudente ragionevolezza della Fed.
Come tutti i banchieri centrali, Powell ha fatto parlare i numeri. E i numeri dicono che se non hai la spinta economica e neanche quella dei tassi bassi, stai creando deficit e debito. A fronte di un’economia che cresce meno, il maggior debito che hai prodotto finirà a pesare di più perché aumenterà il rapporto debito/Pil. Se le prospettive della Fed per i prossimi tre anni si avverassero, si tratterebbe del triennio di crescita economica più debole almeno dal primo mandato dell’ex presidente Barack Obama alla Casa Bianca e dalla lenta ripresa dalla recessione del 2007-2009.
Insomma, per entrare nell’età dell’oro l’America dovrà attendere. Basterà questo per costringere Trump a cambiare la narrazione, ovvero che l’età dell’oro non è subito, ma arriverà un’altra volta? Sarebbe significativo che questa botta di realtà economica facesse uscire allo scoperto la comunicazione manipolatoria sulla guerra commerciale. Ovvero, che i dazi sono semplicemente uno strumento negoziale. E che gli obbiettivi sono sempre e solo due: primo, arrivare a un accordo sul cambio del dollaro, indebolendolo per favorire la reindustrializzazione degli Usa. Di conseguenza, secondo obbiettivo, creare un allungamento del debito americano (per es., scadenze 5 anni che si trasformano in 10 e così via). Trump punta ad acquisire il merito della riduzione del debito, in realtà spostandolo mediante l’allungamento delle scadenze. Sul fronte della crescita economica, con un dollaro più debole le merci americane diventerebbero più interessanti, meno care, di quelle estere.
I prossimi appuntamenti sono fissati al 6 maggio e 17 giugno quando verranno aggiornati i dati pubblicati nella riunione di ieri. Cosa racconterà Donald Trump fino ad allora è difficile prevederlo. Di certo il folklore di Mar a Lago non interromperà gli spettacoli. Fintanto che le richieste di Trump alla Fed resteranno limitate al suo social, l’America potrà dormire ancora sonni tutto sommato tranquilli. Nel momento in cui si trasformassero in scontro e minacce sarebbe la tenuta stessa del sistema democratico americano a farne le spese. Scenari impossibili?
Scontro Casa Bianca Fed?
Per un mancato presidente che non ha esitato di far assaltare il Campidoglio da cow boys e sciamani, potrebbe essercene un medesimo, adesso in carica, che va alla conquista del Federal Reserve Building. La Fed non è una «qualsiasi» agenzia del governo. La Federal Reserve è un piedistallo su cui poggia la libertà economica degli americani.