Protezionismo imperiale Usa con dazi, capitali e cannoni

Una copertina irripetibile del manifesto e un ragionamento. «C’è un aggressore e c’è un aggredito». Applicato fino a ieri al tema della guerra, viene riciclato nel campo delle politiche commerciali. L’aggressore planetario è Trump con l’arma dei dazi anche contro l’Unione europea. Che provocata reagisce, approvando uguali e contrarie misure protezioniste a danno di una lunga lista di prodotti made in Usa. Poi, la fascistizzazione dell’Europa.

Azione-reazione verso il baratro

«A prima vista sembra una classica reazione da manuale. Persino Adam Smith, precursore della dottrina del libero scambio, ammetteva la rappresaglia protezionista contro provvedimenti restrittivi stranieri», il prologo di Emiliano Brancaccio. Ma Adam Smith la intendeva come arma tattica, per indurre l’aggressore a ravvedersi e a ripristinare i liberi commerci. Gli sherpa dell’Ue insistono a dire che questo è esattamente l’obiettivo della reazione protezionista europea: metter paura a Trump, per indurlo a più miti consigli. La speranza è che il nuovo presidente americano torni al vecchio ‘friend shoring’: imporre dazi a tutti, tranne agli amici europei. Ma se non fosse ‘tattica’ ma ‘strategia’, scelta di lungo periodo?

Ma gli scettici di casa crescono

Nelle stanze del potere europeo gli scettici crescono. Mario Draghi è tra questi. A suo avviso, l’Ue deve elevare barriere commerciali e finanziarie non come tattica contingente ma come strategia di lungo periodo. Il motivo è che l’onda protezionista che viene dall’atlantico non è il capriccio di un altro pazzo al potere (come l’0attuale), ma è la conseguenza di gravi problemi strutturali dell’economia americana, di competitività e di debito verso l’estero. Per questa ragione, la guerra economica mondiale è destinata a durare e si annuncia come una lotta di tutti contro tutti. In un tale scenario, l’Europa aggredita deve imparare a diventare potenza aggressiva, attraverso i dazi e non solo.

Aggressore-aggredito funziona male

Lo slogan dell’aggressore e dell’aggredito suona male anche in tema di guerra. Lo dimostra l’Ucraina, con la Russia ad inaugurare un’epoca di nuovi massacri globali. Discutibile ma efficace la considerazione di Brancaccio: «negare questa evidenza vorrebbe dire passare dalla padella dei pugilatori a pagamento atlantisti alla brace delle majorettes putiniane». L’immagine Nato è decisamente forte ed efficace. Ma il meglio arriva dopo: «l’idea che von der Leyen e i suoi intendano riarmare l’Europa per difendersi da una possibile invasione russa è l’ennesima semplificazione di comodo».

La vera spiegazione del riarmo europeo

«Per lungo tempo i paesi Ue hanno agito da vassalli dell’impero americano. Dove l’America muoveva le truppe, lì si creavano occasioni di profitto per aziende statunitensi in primo luogo, ma subito dopo anche per imprese britanniche, francesi, tedesche, italiane. Dall’Est Europa, all’Africa, al Medio oriente, così l’imperialismo atlantico ha agito per decenni».

Un imperialismo autonomo

Ma nel momento in cui la crisi del debito forza l’impero americano a ridimensionare l’area d’influenza e a caricare di dazi anche i vassalli, il problema delle diplomazie europee diventa uno solo: progettare un imperialismo autonomo, in grado di accompagnare la proiezione del capitalismo europeo verso l’esterno con una potenza militare autonoma. Ancora una volta, Draghi riconosce il punto. Macron, Merz e Meloni non lo ammettono apertamente, ma l’obiettivo è quello. Vista sotto questa angolazione, la difesa dell’Ucraina diventa un tipico caso di scuola per il progetto imperialista europeo.

Ucraina come scusa

«Non si tratta di proteggere i confini dell’Unione da una futura invasione cosacca. Piuttosto, si tratta di riannodare con la forza i fili dell’accordo di ‘associazione Ue-Ucraina’ iniziato nel lontano 2008. Una lunga serie di intese con un già implicito profilo imperiale, che mirava a estromettere le aziende russe dagli affari nell’area e da cui tutti i guai sono iniziati. Naturalmente, ciò che vale per il fronte insanguinato dell’Ucraina vale anche per tutte le altre linee di confine: i più grandi profitti saranno preda di chi saprà scortare i capitali con truppe e cannoni».

Il «momento» del nuovo imperialismo è dunque giunto. Occorre proteggere l’esportazione di capitali europei con milizie europee. Con buona pace delle bandiere blu e oro che verranno agitate in piazza, questo è lo scopo ultimo di ReArm Europe.

Infine la Nato

La minaccia dell’amministrazione Trump di spostare 35.000 uomini dell’esercito statunitense dalla Germania all’Ungheria è di questi segnali tra i più illuminanti. In una simile mossa, se reale, non sarà di abbandonare a sé stesso il campo europeo, ma la volontà di disciplinarlo in senso autoritario. ‘Qui comando io’. L’Ungheria di Victor Orban non è solo il paese europeo più favorevole a Mosca -come rileva Marco Bascetta-, «ma è anche il governo che politicamente e ideologicamente più si avvicina alle convinzioni di Trump e del suo entourage su temi come il contrasto all’immigrazione, il tradizionalismo culturale, la restrizione dei diritti civili, lo strapotere dell’esecutivo e la persecuzione degli oppositori. Insomma un modello che Washington vedrebbe volentieri esteso all’intero continente».

La Germania, al contrario, nell’escludere ogni possibile partecipazione dell’ultradestra di Afd al governo del paese contraddice l’investimento americano su questo partito più volte esplicitato da Elon Musk e riscuote sempre meno la fiducia del governo statunitense. Per dirla con una formula diretta, il nuovo corso della Casa bianca non intende abbandonare l’Europa al suo destino ma “fascistizzarla”. E non mancano interlocutori ben disposti a procedere in questo senso, affiancando l’amico americano.

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