Groenlandia al voto: «né danesi né americani»

La Groenlandia al voto e il rinnovo del Parlamento di Nuuk -la capitale-, avviene nella fase politica più calda dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi per l’isola più grande del mondo e i suoi 60mila abitanti. La Groenlandia, Stato associato al Regno di Danimarca, è al crocevia: corsa verso l’indipendenza? Rafforzamento del vincolo con Copenaghen? O l’annessione al territorio americano minacciata da Trump?

«Né danesi né americani»

La minaccia di Trump di prendersi comunque la Groenlandia ‘strategica per gli Stati Uniti’, ha rotto antichi equilibri forse di maniera, costringendo la politica locale a prendere in considerazione ogni ipotesi. La prepotenza Usa e la risposta del governo danese di Mette Frederiksen, con un minimo rafforzamento della sicurezza strategica nell’Artico, hanno stimolato la spinta indipendentista del governo di Nuuk. «Non vogliamo essere danesi o americani», ha dichiarato il premier della Groenlandia Múte Egede.

‘Inuit Ataqatigiit’

Il premier uscente, Múte Egede, alla guida del partito ‘Inuit Ataqatigiit’ (dal groenlandese Comunità Inuit) è un partito politico di sinistra e indipendentista fondato nel 1976 intende affermare due principi: «esercitare l’autogoverno sulle questioni interne che l’accordo di associazione al regno di Danimarca del 1979 garantisce; dall’altro, che il movimento indipendentista è attivo e non esclude di rimettere sul tavolo la questione della secessione dal regno in un contesto geopolitico e strategico incerto». Insomma, tutte le strade di collocazione internazionale aperte ma al momento ancora vincolate all’Europa.

I numeri e il popolo Inuit

La formazione del primo ministro controlla 12 seggi su 31 nel Parlamento uscente e guida un Governo di coalizione. Ora Egede vuole una maggioranza assoluta per permettergli di convocare un referendum indipendentista. L’obiettivo è cavalcare la duplice tendenza del territorio: da un lato, sostenere le aspirazioni secessioniste. Dall’altro, ottenere migliori condizioni di vita. Decisiva la condizione dell’ormai minoritario popolo Inuit tra i suoi abitanti, originari delle regioni costiere artiche e subartiche dell’America settentrionale e della punta nordorientale della Siberia. Obiettivo politico, riprendere totalmente il controllo su quella che gli Inuit chiamano Kalaallit Nunaat, «la terra del popolo» e al suo sfruttamento.

Groenlandia travolta in miniera?

«La Groenlandia è ricca di minerali essenziali, tra cui rame, tungsteno e persino platino, sebbene per la maggior parte sepolti sotto il ghiaccio”», nota The Conversation a riporta Andrea Muratore su InsideOver. Fino a poco tempo fa, questo non era il tema principale nei programmi della maggior parte degli elettori più interessati a questioni di pane e burro come il Welfare e il costo della vita che alle risorse del sottosuolo. Ma l’interesse di Trump per l’isola ha cambiato il dibattito. E di fatto, la frontiera mineraria diventerebbe strategica se la Groenlandia scegliesse la via del referendum indipendentista.

«Isola del tesoro» povera

Indipendenti come e quanto? «Se il cordone ombelicale con Copenaghen venisse reciso, Nuuk avrebbe bisogno di una grande quota di risorse aggiuntive per colmare il vuoto di sussidi danesi, che contribuiscono a oltre un quinto del Pil locale: 770 milioni su 3,2 miliardi di dollari. Ma la partita del sottosuolo contraddirebbe molte pulsioni della politica groenlandese, molto attenta alle questioni ambientali in un contesto in cui, paradossalmente, è l’industria della transizione green ad avere fame delle risorse che l’isola detiene», con Muratore che approfondisce il fronte ‘Green’.

Risorse e salvaguardia ambientale

«La Groenlandia rischia di diventare l’ennesimo spicchio di mondo in cui i nodi verranno drammaticamente al pettine», scrive l’Imperial Eco Watch aggiungendo che «già oggi, opera in Groenlandia una nutrita schiera di compagnie minerarie che battono bandiera canadese, australiana e inglese. Con l’indipendenza, giocoforza, il loro numero aumenterebbe in modo esponenziale», e potrebbe rientrare in campo un attore, la Cina, che rappresenta lo spauracchio delle rivendicazioni di Trump. E se per un’eterogenesi dei fini, le rivendicazioni Usa finiranno per distaccare la Groenlandia non solo dalla Danimarca ma anche da Washington? Dal voto di oggi si inizierà a capirlo.

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