
Oggi il vaso della democrazia e della cultura – l’insieme delle espressioni sociali, etiche ed estetiche che le costruiscono – è in mille pezzi. Anche se un incantesimo, politico, economico e mediatico, ce lo fa sembrare ancora intero, scintillante e sano. Una parvenza, ologramma che non agisce per la libertà, per la civiltà, per la gioia.
Smettere di contemplare l’ologramma è il primo passo, innervato da dissenso e pensiero critico. Il secondo è restaurare con umanità, e meglio amare, i frammenti sparsi della memoria. Quelli che sembrano inutili, fuori dai luoghi comuni, quelli che sono invece fertili e agiscono per creare etica e futuro attraverso le piccole cose lontane dai riflettori, che agiscono per fare del pensiero un’azione sui territori del nostro abitare civile. Sapendo che servirà più amore, più azione per rimetterli insieme.
Il fatto è che non basta teorizzare. Neanche cercare l’idea bomba per svoltare, per avere riflettori, per cercare il minuto di successo. Quindi barattando il valore e l’impegno per il potere, piccolo o grande che sia.
Occorre agire. Essere nella lotta di ogni giorno, seme dentro il seme, vangando il terreno secco delle conoscenze, evitando di assecondare fanfare mediatiche e banali. Cooperando culturalmente con gli altri, con la comunità, con le persone di buona volontà che non intendono essere intruse nel racconto tessuto da altri, ma pensano di poter avere ancora voce in questa democrazia.
Serve la lotta e non temere la ferita e neanche la cicatrice. Serve il coraggio delle sfide che sembrano impossibili e sono le uniche necessarie.