L’Oscar palestinese che non vedranno nelle sale Usa

L’Oscar per il miglior documentario è stato assegnato a ‘No Other Land’, film indipendente prodotto da un collettivo israeliano-palestinese che nelle scorse settimane aveva ottenuto recensioni entusiaste e importanti riconoscimenti, ma che nonostante l’ottima accoglienza non è ancora stato distribuito negli Stati Uniti, il mercato più importante al mondo per l’audiovisivo, per via del suo contenuto critico verso Israele, denuncia il Post.

‘Nessun’altra terra’

La storia delle persone che vivono a Masafer Yatta, un’area della Cisgiordania di circa 30 chilometri quadrati a sud della città di Hebron, che da quasi mezzo secolo subiscono violenze sistematiche da parte delle autorità e dei coloni israeliani. Nei primi anni Ottanta l’esercito israeliano decise che Masafer Yatta sarebbe dovuta diventare un poligono di tiro per l’esercito, e da allora ha cercato con ogni mezzo di sfrattare i suoi abitanti palestinesi. Per questo, nessuna società statunitense ha ancora acquistato i diritti del film, che prima della notte degli Oscar era stato proiettato per una sola settimana in un cinema di Manhattan, a New York, e in un paio di festival di nicchia. C’erano state anche delle brevi proiezioni in alcuni cinema indipendenti, i dettagli del Post.

Festival di Berlino lo scorso anno

No Other Land era stato presentato in anteprima al Festival di Berlino dello scorso anno, dove aveva vinto il premio per il miglior documentario, e prima degli Oscar aveva ottenuto lo stesso riconoscimento ai New York Film Critics Circle e all’International Documentary Association. Finora è stato distribuito in 24 paesi, tra cui Regno Unito, Francia e Italia.

Lobby ebraica americana

Yuval Abraham, uno dei quattro registi che ha realizzato il film, ha detto che lui e i suoi collaboratori avevano preventivato che trovare un distributore statunitense sarebbe stato difficile, in parte perché ‘No Other Land’ «è molto, molto critico nei confronti delle politiche israeliane», e in parte perché negli Stati Uniti «c’è molto poco spazio per questo tipo di critiche, anche quando si presentano sotto forma di film». Abraham ha aggiunto che trovare un distributore statunitense rimane comunque una priorità, perché consentirebbe al documentario di raggiungere «persone con opinioni politiche diverse e con diversi gradi di conoscenza della situazione israelo-palestinese. E queste sono esattamente le persone a cui vogliamo fare arrivare il film».

Stampa critica Usa

Parlando della situazione di No Other Land, il giornalista del New York Times Marc Tracy ha notato come, fino a pochi anni fa, i documentari d’attualità riuscivano ancora a intercettare l’interesse di piattaforme e società di distribuzione. Uno degli esempi più recenti è ‘Alla conquista del congresso’, documentario incentrato sulla candidatura al Congresso di quattro donne, tra cui Alexandria Ocasio-Cortez, che nel 2019 fu acquistato da Netflix per 10 milioni di dollari, una cifra importante per una produzione di questo tipo.

Censura politica preventiva

Oggi invece capita spesso che questi documentari non riescano a trovare un distributore per via del loro contenuto politico o di denuncia sociale, perché le piattaforme tendono a indirizzare risorse e promozione verso prodotti più accattivanti e meno partigiani, come i documentari ‘true crime’, o incentrati sulla vita di celebrità e personaggi sportivi.
Tracy ha citato in particolare i casi di Union, che racconta la sindacalizzazione di uno stabilimento di Amazon a Staten Island, nello stato di New York, e Bibi Files, un’inchiesta sul processo per corruzione contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. «Ci è stato detto apertamente che le grandi piattaforme non sono interessate a documentari su temi sociali» ha detto Brett Story, la regista di Union.

Autopromozione Usa

Visto il disinteresse delle società di distribuzione, entrambi i film hanno deciso di autopromuoversi negli Stati Uniti, dove Bibi Files e Union sono disponibili in noleggio rispettivamente su Jolt e Gathr, due piattaforme specializzate in documentari. Un altro documentario che non ha ancora un distributore è The Last Republican, che racconta la storia di Adam Kinzinger, ex deputato repubblicano diventato critico di Donald Trump.
Rachel Lears, al New York Times: registi che si occupano di attualità «stanno attraversando quello che hanno vissuto i musicisti jazz tra gli anni Cinquanta e Settanta», quando la loro musica smise di essere una forma di intrattenimento di massa e diventò un interesse di nicchia, «solo che nel nostro caso è successo tutto in circa tre anni».

10 puntate su Michael Jordan e non sull’ascesa di Trump

Il regista Thom Powers, che si occupa di curare la sezione dei documentari del Toronto International Film Festival, ha detto che ritiene «pazzesco» che su Netflix ci sia «un documentario in 10 puntate su Michael Jordan, ma non un documentario in 10 puntate sull’ascesa di Donald Trump».

 

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