Il presente con gli occhi della storia per la vera paura

Il presente osservato con gli occhi della Storia, e l’‘impressione è che in poche settimane il presidente americano Trump abbia sconvolto gli equilibri mondiali, rovesciato tendenze consolidate, messo nell‘angolo l‘Europa, compiuto un cinico voltafaccia nei confronti dell‘Ucraina, teso la mano al «nemico» del Cremlino, in sintesi messo in discussione l’ordine internazionale delegittimando le istituzioni che lo regolano e lo guidano denuncia Massimo Nava sul Corriere. La nuova/vecchia  regola è che il più forte fa ciò che può e il più debole fa ciò che deve. O subisce.

In copertina, Scudo con testa di Medusa di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

Rivoluzione o il marcio che matura?

 Occorre però chiedersi se questa improvvisa rivoluzione epocale con cui tutti – a cominciare dalle capitali europee – devono misurarsi sia la conseguenza delle dinamiche impresse da Trump alla politica americana o non sia invece il capitolo forse più sorprendente di processi cominciati in realtà molto tempo prima. Forse non visti o non voluti vedere o forse letti con strumenti d’analisi superati dagli eventi stessi.

Guerre mondiali e nuova guerra fredda

Come alla fine delle due guerre mondiali e come alla fine della guerra fredda siamo alla vigilia di uno straordinario riordino delle relazioni internazionali, il che comporta almeno per ora molti più rischi e paure che speranze. Questo perché i pilastri normativi e politici di riferimento costruiti nel secolo scorso si sono via via sgretolati. E già ben prima dell’arrivo di Trump stentava ad affermarsi l’idea di un ordine internazionale universale «liberale» o «basato su regole» come alternativa allo scontro tra Est e Ovest e tra Nord e Sud.

Un piccolo ripasso

Il principio che i confini e la sovranità di uno Stato non dovesse essere riscritto con la forza o con le ingerenze esterne è stato più volte violato, sia pure in nome di un altro principio: la protezione e i diritti delle minoranze. Oggi ci si indigna per le bugie di Trump che snocciola giudizi falsi e cifre gonfiate nelle conferenze stampa o che definisce Zelensky un dittatore, ma si dimentica la più colossale fake news dell’ultimo quarto di secolo: la bugia delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein che giustificò la seconda guerra del Golfo, con tanto di provetta chimica esibita pubblicamente dal segretario di Stato Colin Powell alle Nazioni Unite. Anche allora l’Europa, sul piano politico, pagò le conseguenze della divisione, fra quanti seguirono l’avventura americana in Iraq e quanti (Francia e Germania) si opposero alla guerra.

La fu Jugoslavia preda

Un altro aggiramento del diritto internazionale portò al «bombardamento umanitario» della Serbia per favorire l’indipendenza del Kosovo e un allargamento della Nato nei Balcani. Essendo impossibile agire sotto le bandiere dell’Onu, si prese la scorciatoia della Nato, invocando il principio (!) che fosse necessario per europei e americani difendersi da Slobodan Milosevic.

Il popolo siriano lasciato ad Assad

Al contrario, nessuno volle andare fino in fondo nella difesa del popolo siriano, nonostante prove evidenti di repressione di massa, uso di armi chimiche, torture e sparizioni di oppositori. Così come nessuno si oppose seriamente alla riconquista della Crimea da parte della Russia. D’altra parte, l’invocata responsabilità di proteggere minoranze minacciate portò all’impresa libica e all’eliminazione di Gheddafi, con conseguenze oggi sotto gli occhi di tutti.

Ucraina e Donbass, tradimenti

Le vicende che hanno portato alla guerra in Ucraina e al conflitto sfiorato in Georgia sono difficilmente riassumibili in poche righe. Basti osservare oggi che un accordo sull’autonomia sostanziale del Donbass, raggiunto e disatteso nel 2014, si risolverà con la probabile amputazione di questo territorio dall’Ucraina, consegnato ai russi come bottino di guerra, nonostante sanzioni e mozioni di condanna alle Nazioni Unite, da cui si sono astenuti persino gli Stati Uniti. I difensori di principi universali, benché talvolta applicati a senso unico, sono oggi la principale potenza revisionista, appunto secondo la legge del più forte, che piace tanto anche a Mosca e Pechino. Con un’aggravante: gli Stati Uniti non sono più l’unica «iper potenza» globale, secondo la definizione che ne diede l’ex ministro degli Esteri francese, Hubert Védrine.

Cow boys e indiani

Proprio come in un vecchio adagio americano, in un mondo di cow boys non conviene essere indiani.

Niente fine della storia

I fatti sembrano dar quindi torto al famoso saggista Francis Fukuyama e alla sua teoria sulla «fine della Storia», formulata dopo la caduta del Muro di Berlino, secondo cui si aprivano prospettive per un mondo di pace universale regolato da principi di democrazia liberale, la «forma finale di governo umano». Un mondo in cui gli uomini si sarebbero addirittura annoiati, per mancanza di sfide e di eroi. Un mondo di pace tecnocratica, portato alla soluzione infinita di problemi tecnici e alla soluzione della questione ambientale. E poco altro.

I capitoli peggiori ancora da scrivere

Ma i fatti sembrano invece dare ragione postuma a Samuel Huntington, teorico di quello «scontro di civiltà» che si stava determinando attraverso spinte identitarie e nazionaliste, populismi, fanatismo religioso, paura delle ondate migratorie e appunto crollo di legittimità delle istituzioni internazionali. A differenza di Fukuyama, Huntington prevedeva un mondo caratterizzato da conflitti continui, anche se lungo assi completamente diversi che avrebbero portato alla rottura dell’ordine post Guerra Fredda.

Interazione tra sette-otto grandi civiltà

Come sottolinea lo storico Nils Gilman su Foreign Policy, di cui Huntington fu co-fondatore, «l’identità della civiltà sarà sempre più importante in futuro e il mondo sarà plasmato in larga misura dalle interazioni tra sette o otto grandi civiltà. Queste includono la civiltà occidentale, confuciana, giapponese, islamica, indù, slava-ortodossa, latinoamericana e forse africana. I conflitti più importanti del futuro si verificheranno lungo le linee di faglia culturale che separano queste civiltà l’una dall’altra».

Declino delle ideologie universali

«Huntington sosteneva che le identità di gruppo, basate su odiose distinzioni culturali, erano durature e sarebbero diventate più evidenti con il declino delle ideologie universalizzanti della Guerra Fredda. E prevedeva un equilibrio equivoco basato su “Stati centrali” che imponevano il loro dominio all’interno delle proprie “sfere di influenza” civilizzatrici. Huntington aveva anche previsto che l’ostilità verso gli immigrati sarebbe stata la caratteristica distintiva della politica interna in un ordine mondiale definito dallo scontro tra civiltà».

L’illusione del Muro di Berlino

Se è vero che il decennio seguito alla caduta del Muro di Berlino sembrava dar ragione a Fukuyama (basti pensare alle riforme nella Russia di Eltsin, alla nascita dell’euro, all’allargamento della Ue, al rafforzamento dell’Organizzazione mondiale del commercio, all’istituzione dei Tribunali internazionali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, alla condivisione della lotta contro un nemico comune, il terrorismo), gli sviluppi successivi sono stati una clamorosa smentita.

‘La vendetta di Huntington’

L’annessione della Crimea da parte della Russia fu giustificata con motivazioni esplicitamente «di civiltà», sostenendo che la Crimea aveva sempre fatto parte della civiltà e della cultura russe. In India si è affermata sempre più l’idea che essa sia uno Stato di religione indù. In Cina, l’ascesa di Xi ha portato alla messa in pratica di un nuovo confronto/scontro ideologico e culturale, il cui presupposto sono la potenza della civiltà cinese e le secolari ambizioni imperiali. «È evidente che le intuizioni di Huntington erano solo premature». Gilman parla, in proposito, di “vendetta di Huntington”.

Un sistema internazionale senza scrupoli

«Il sogno di un consenso universale a favore della democrazia liberale e del capitalismo globale gestito tecnocraticamente è morto, e gli scontri tra civiltà sono in aumento quasi ovunque, da Mosca e Pechino a Delhi e Istanbul, e ora a Washington. Invece di soffrire della noia asettica delle regole burocratiche post-storiche, godremo delle sanguinarie emozioni di un sistema internazionale senza scrupoli».

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