
Da Limes, carta di Laura Canali
«Donald Trump vuole chiudere una guerra che gli Stati Uniti non hanno mai voluto vincere. E usare la spartizione dell’Ucraina come innesco della normalizzazione con la Russia. Obiettivo finale: allentare (non sciogliere) la strana coppia con la Cina, dando a Putin un’alternativa dal finire sotto Pechino. Autentica svolta che richiede una terapia brutale nei confronti degli europei. Per imporre un messaggio: la Russia non è più il nemico», sostiene Federico Petroni.
Ogni avvenimento, oltre la studiata violenza verbale dello sgradevole personaggio per scioccare gli spettatori e assumere l’iniziativa, anche nei confronti dei russi. E l’Europa offesa dal presuntuoso Vance, non ha capito che le spallate di Trump e dei suoi avanguardisti, Musk compreso, erano prima di tutto messaggi diretti a Mosca. A sottolineare la totale rottura in casa am, con la classe dirigente Usa precedente, e sul fronte occidentale contro Biden-Blinken e i loro seguaci europei.
A Riad non solo Ucraina, ma la rilegittimazione internazionale di Mosca. Il segretario di Stato Marco Rubio ha parlato di «cooperazione geopolitica ed economica» come premio per la conclusione della mattanza ucraina. Dopo il traguardo, c’è la promessa dello stop alle sanzioni statunitensi e persino di investimenti diretti americani, che i russi vorrebbero convogliare nell’Artico che potrebbe diventare un mare da condividere, concessioni minerarie groenlandesi comprese.
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto che per la prima volta gli americani «non sono stati solo ad ascoltare, ma hanno sentito». Che tiene conto gli interessi dell’altro, quando anche non sono coincidenti con i suoi. Sembra quasi un sano principio Dem, e uno sbanda. E la scelta di Riad per il primo incontro. Che punta in almeno due direzioni. In Medio Oriente a coinvolgere i russi nel frenare la guerra Iran-Israele, spingere Teheran a un accordo sul nucleare e impedire a Gerusalemme di bombardare gli impianti atomici persiani. Poi il petrolio. Il prezzo del barile sino ad oggi per mettere in ginocchio l’economia russa, oppure un accordo di cartello fra i tre massimi produttori per stabilizzare e dividersi i mercati sulle tasche di noi Stati compratori. Europei in testa.
Trump non vuole un semplice cessate-il-fuoco sull’Ucraina. Negozia per sé, non certo per conto di Kiev, ma nemmeno sarà arrendevole rispetto a tutte le condizioni russe, annota ancora Limes. Accordo certo sulla cessione formale dei territori occupati. Ma nella trattativa ci sono anche diversi punti sgraditi se non irricevibili per Mosca, su forze straniere di interposizione (non statunitensi), ma di cui in realtà sappiamo tutti molto poco. Salvo lo schema base che non prevede di svendere l’Ucraina a Putin.
Trump non propone a Mosca una vera e propria spartizione. Dove la parte orientale resta alla Russia e la parte occidentale diventa quella che Federico Petroni definisce «una colonia di fatto degli Stati Uniti». Colonia solo mineraria. E lo svela il contratto proposto a Zelens’kyj per cedere il controllo di terre rare, che Remocontro ha pubblicato ieri (https://www.remocontro.it/2025/02/21/i-dettagli-del-conto-usa-trump-allucraina-sconfitta/). Tributo in natura per offrire fondi per la ricostruzione e assicurarsi assieme che altre grandi potenze (Cina) non s’inseriscano nella partita accaparrandosi i tesori ucraini.
Sappiamo che Zelenskyj ha rifiutato e la nuova Casa Bianca attacca anche oggi ripescando persino Bannon. Ma se l’interlocutore non cede, la sua rimozione diventa più che probabile, nella sola incertezza dei modi. Ma non è solo Zelensky a rischiare di perdere ruolo e forse molto altro. La nuova dirigenza americana vuole disinnescare la Nato di oggi. Mezzo di diffusione di un modello occidentale la nuova destra americana ritiene superato. Quindi, alleanza puramente difensiva. E basta. Concetto base: nessuna tregua in Ucraina e nessuna normalizzazione durerà se il Cremlino continuerà a ritenere la Nato strumento di ‘rivoluzioni colorate’.
Vance a Monaco ha spiegato in malo modo che il nemico non è la Cina o la Russia ma il decadentismo delle élite liberali. L’attuale maggioranza Ue. Una destra convinta che l’esportazione della democrazia che non accetta altre forme di governo e porta alla guerra. Un po’ distratto sull’esempio tedesco con Hitler, ma messaggio di distensione per i russi: imponiamo un freno agli europei. L’amministrazione Trump ventila un arretramento delle truppe schierate in Est Europa. E ordina una riduzione dell’8% al bilancio del Pentagono in ciascuno dei prossimi cinque anni, ma non orizzontale.
I tagli noti riguardano i comandi per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa, ma non i comandi per l’Indo-Pacifico e il Nord America, e tagli ad alcuni ‘progetti d’arma’. «Fortezza America», perché gli Stati Uniti non hanno i mezzi per fare la guerra con un debito statale ormai iperbolico, con la popolazione che rifiuta aumenti di tasse, e l’industria bellica che non produce quanto basta. E alla spesa sulla strapotenza militare, Trump sostituisce l’offerta di normalizzazione ai russi e l’ordine agli europei di non considerare più Mosca un nemico. E il Cremlino saprà sdebitarsi.
America, rivoluzione politica ed etica in corso. Con il nuovo Capo della destra impegnato in una furibonda battaglia per epurare le istituzioni e riscrivere i rapporti di forza tra i poteri. Di corsa, prima che la vecchia America riscopra le proprie origini e valori europei e si riscuota dagli errori di Biden e dalla terribile batosta elettorale subita da un popolo americano mandato in confusione sul suo futuro possibile. Passaggio chiave per Trump l’ennesimo tentativo di dopo guerra fredda di migliorare i rapporti con la Russia per meglio fare i conti con la più temibile Cina. Nessuno ci è riuscito. Ma i tempi sono cambiati dice Limes. Forse troppo?