‘Il mucchio selvaggio di Trump’ all’attacco del mondo

Per Trump, la priorità internazionale è l’economia. E quindi la geopolitica, una strategia da modellare di conseguenza. Quindi il suo avversario numero uno, il suo vero chiodo fisso, è la Cina. Tutto il resto viene dopo. Da tale premessa, dipende l’atteggiamento della nuova Amministrazione repubblicana nei confronti dell’Europa, e verso l’Ucraina in particolare.

Veloci con Ucraina o M.O. per occuparci di ‘cose nostre’

Concentrando le sue risorse diplomatiche e militari nell’Indo-Pacifico, Trump tende ad abbandonare regioni come il Vecchio continente o il Medio Oriente, ritenute di minore interesse per l’America. La cartina al tornasole di questo ragionamento è la composizione stessa della sua squadra, i cui maggiori esponenti non sono stati scelti a caso, ma rappresentano invece i migliori interpreti della dottrina trumpiana.

‘La Squadra’ formato cinese

Innanzitutto, Marco Rubio, il Segretario di Stato arrivato dalla Florida e di origini cubane, capace di fare una folgorante carriera politica. La sua fama di ‘falco’ anti-cinese è di vecchia data ed è stata ribadita durante l’udienza di conferma, al Senato, lo scorso 15 gennaio. Il nuovo Segretario di Stato, in quell’occasione, ha detto: «Gli Stati Uniti devono dimostrare alla Cina che pagherà un prezzo troppo alto se invaderà Taiwan. Penso che dobbiamo farci un’idea del fatto che, a meno che non cambi qualcosa di drastico, come un equilibrio (tra Cina e Taiwan) in cui concludono che i costi dell’intervento a Taiwan sono troppo alti, dovremo occuparcene prima della fine di questo decennio».

Entro il 2030 guerra con la Cina?

Insomma, Rubio avvisa tutti. Se non cambia il clima politico con Pechino, entro il 2030 sarà guerra. E questo anche perché – come aggiunge – «la Cina è il più potente e pericoloso avversario che questa nazione abbia mai affrontato. Gli Stati Uniti, hanno permesso a Pechino di barare sul commercio e di fare grottesche violazioni dei diritti umani». Se il buon giorno si vede dal mattino, allora forse è il caso di ricordare che con Rubio la diplomazia sino-americana e salita su un ottovolante, anche perché il segretario di Stato risulta ufficialmente ‘sanzionato’ dalle autorità cinesi. Cioè, in teoria, non potrebbe nemmeno sbarcare a Pechino, perché sarebbe a rischio di ritorsioni.

‘Berretto verde’ Consigliere per la Sicurezza

ltro elemento che va tenuto d’occhio, secondo Philip Wegmann di RealClearPolitics, è il Rappresentante della Florida Mike Waltz, il primo Berretto Verde eletto al Congresso, scelto per ricoprire il ruolo di Consigliere per la Sicurezza nazionale. La motivazione? Waltz viene definito «un esperto di minacce poste da Cina, Russia, Iran e terrorismo globale». In un’intervista del gennaio 2023 con RCP -scrive Wegman- Waltz ha delineato la minaccia in termini specifici. «Il Partito Comunista Cinese è entrato in una Guerra fredda con gli Stati Uniti e dobbiamo svegliare non solo le nostre istituzioni, ma penso anche il pubblico americano più ampio a questo fatto», ha affermato. I palloni spia cinesi che fluttuavano nel continente in quel momento – ha detto Waltz a RCP – dovrebbero dare una sveglia simile allo Sputnik».

Nel ‘Mucchio Selvaggio’ il capo della Cia

Un altro autorevole componente del «mucchio selvaggio di Trump», come lo chiama Frank Miele di RCP, è John Ratcliffe, un repubblicano del Texas dai modi spicci. Una caratteristica? Tanto per cambiare, vede la Cina come fumo agli occhi. In un articolo di opinione, scritto per il Wall Street Journal, il nuovo capo degli 007 di Langley esprime un punto di vista che è tutto un programma: la Cina è la minaccia principale alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. E quindi, «bisogna resistere al tentativo di Pechino di rimodellare e dominare il mondo. È questa la sfida della nostra generazione».

L’enorme apparato militare Usa

Naturalmente, gli occhi della leadership del Partito Comunista cinese sono puntati sul meno conosciuto e, per certi versi, più ‘delicato’ esponente della nuova Amministrazione Trump: il Ministro della Difesa Pete Hegseth. Personaggio chiacchieratissimo, Hrgseth ha un curriculum da Rambo e ideuzze da ‘Settimo cavalleria’. Insomma, dal quadro che ne è stato fatto, prima spara e poi chiede permesso. È un patito della Dottrina Reagan, che naturalmente vorrebbe che si applicasse -guarda tu!-, a partire dalla Cina. È questa la terapia giusta, secondo Hegseth, per i nipotini di Confucio, cioè «pace attraverso la forza».

Con Trump piangendo Reagan

L’Hegseth-pensiero, lo riassume così Francis Sempa su RealClearDefense: «L’Amministrazione Reagan non si impegnò in guerre infinite e non spese vite e risorse statunitensi per combattere guerre per scopi umanitari. Reagan usò i ‘diritti umani’ come una clava per danneggiare l’impero sovietico. A differenza di Carter, Reagan non fece dei diritti umani il fulcro della sua politica estera. Reagan e il suo team per la Sicurezza nazionale (Casper Weinberger, George Shultz, Richard Allen, William Clarke, Jeane Kirkpatrick, Colin Powell, George HW Bush) vinsero la Guerra fredda senza sparare un colpo». Punti di vista.

Insomma, il trionfo della ‘realpolitik’ alla faccia dell’etica e della moralità. Ed Hegseth e la Cina? Beh, diciamo che per fortuna decide Trump. Che pur di risparmiare anche sulle cartucce, sconfesserà i furori bellici di un soldatino (diventato prima maggiore e poi Ministro) che sarebbe pronto a dichiarare guerra a tutti.

Il Dipartimento di Stato corregge il sito su Taiwan e la Cina s’infuria

Nel corso del fine settimana, dal sito del Dipartimento di Stato USA alla pagina sulle relazioni tra Washington e Taipei, è stata rimossa la frase «non sosteniamo l’indipendenza di Taiwan». «Aggiornamento di routine», provano a giustificare a Washington, formalmente vincolati a «One China», e legami formali Usa solo con la Repubblica Popolare Cinese.

L’ira di Pechino

Il cambiamento ma ha scatenato la maggiore da parte di Pechino da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. «Una grave regressione nella posizione su Taiwan… un’ulteriore prova dell’ostinata adesione degli Stati Uniti alla politica errata di usare Taiwan per contenere la Cina. Esortiamo gli Stati Uniti a correggere immediatamente i propri errori».

 

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