
(Copertina. La parábola de los ciegos – Pieter Bruegel – Historia Arte)
Così vanno le cose, se la ride sotto i baffoni il barbiere anarchico. E sintetizza, rasoiando. I truci sanno bene che cosa fare e dire, sono truci non per sbaglio. Lo sono per vocazione, per lo splendore dell’ignoranza che rende beati quelli che non capiscono un’acca (come dicono a Roma, ma con altri termini). Obbediscono tragicamente a ogni insulso comando della storia più becera, come riflesso automatico a seguire ciò che di peggio mostra la realtà. Sono fasci, razzisti, ultras di ogni rigurgito feroce, lottano contro il bene comune, la giustizia sociale, la natura con un’energia mascolina, furiosa, sudata. Non sanno neanche perché, ma lo fanno con rigore, con adesione totale a ogni forma etica ed estetica sgraziata.
E gli altri? L’arringa del barbiere non si ferma neanche di fronte a un taglio più scolpito. Gli altri titillano nel brodino delle certezze assolute. Ciurlano, fanno lunghissimi giri di parole per restare al palo, si ergono a salvatori di qualcosa immersi in un mondo che, in fin dei conti, accettano anche nelle sfumature più efferate. Perché lo considerano l’unico possibile. Lo guardano da dentro e non fanno altro che orientare e orientarsi per far politica, cultura, docenze, regie in cui fingersi impegnati a fare qualcosa di utile che non sia legato all’utilità del proprio successo e del conseguente portafoglio.
Cala il silenzio, nella barberia. Siamo tutte persone che vivono semplicemente, leggono il giusto, fanno politica e attivismo senza bisogno di partiti o di lezioni. Quindi, pagato il taglio, sconsolati ce ne torniamo a casa. La nostra parte la facciamo da sempre. Ci rimettiamo, ci lasciamo le penne, abbiamo debiti, viviamo di utopie. Di più non potremmo. E ripensiamo alla metafora del barbiere sulle due facce della medaglia del potere, i truci e i furbetti. Quelli consapevoli e quelli che neanche lo sono, ed è quasi peggio.