Filippine, il migliore alleato anti-Cina di Trump

Trump pesta l’Europa, tratta solo con Putin per l’Ucraina, ma punta alla Cina. Cementare le alleanze esistenti in Asia coordinandole in un unico blocco. La vecchia dottrina del ‘contenimento’ adattata al Terzo millennio e a un nuovo nemico. E con la sua variante del bastone e della carota: tra oscure minacce di ritorsioni commerciali o militari, e flautate offerte di concessioni economiche e tutele politiche.

Filippine pericolosa prima linea

E se l’India da un lato e il Giappone dall’altro, costituiscono gli architravi della ‘foreign policy’ Usa nell’area, le Filippine ne rappresentano certamente la prima linea. Hanno appena rinnovato un trattato di sicurezza con gli Stati Uniti, che hanno avuto in concessione diverse formidabili basi militari. Non solo. Sono la forza ma, nello stesso tempo, potrebbero rivelarsi la debolezza del Trump-pensiero. Il motivo è semplice: lo stato delle relazioni tra Manila e Pechino è talmente deprecabile, che un grave incidente di confine, prima o dopo, certamente si verificherà. In modo eclatante. E a quel punto, davanti a morti e feriti e (forse) con qualche nave filippina affondata, che farà Washington per onorare il suo trattato di difesa con l’alleato asiatico?

Guerra con la Cina per le Filippine?

Nella sua visita a Manila, alla fine dello scorso luglio, l’ex Segretario di Stato Blinken aveva ricordato che Usa e Filippine sono vincolati da un trattato di mutua difesa, risalente al 1951. “Manteniamo la nostra ferrea alleanza con le Filippine – aveva detto – che si estende agli attacchi contro le sue Forze armate, imbarcazioni o aerei pubblici, inclusa la Guardia costiera, ovunque nel Pacifico, incluso il Mar Cinese meridionale”. Ora, Trump e Pete Hegseth, nuovo capo del Pentagono (un altro dei ’falchi’ anti-Cina) hanno rilanciato, ribadendo l’assoluta volontà americana di difendere le Filippine. Viene messo tutto nero su bianco, in un comunicato del Dipartimento della Difesa Usa, dove si afferma che Hegseth e il Ministro filippino Gilberto Teodoro Jnr hanno discusso “dell’importanza di ristabilire la deterrenza nel Mar Cinese meridionale e di migliorare le capacità dell’esercito filippino. Con l’impegno di Manila a collaborare con gli Stati Uniti a rafforzare la deterrenza nel Mar delle Filippine occidentale”.

Escalation di promesse

La volontà americana, di garantire la sicurezza di Manila a fronte dell’egemonismo cinese, è stata confermata anche dal nuovo Segretario di Stato Marco Rubio in una telefonata col suo omologo filippino. I conti, quindi, in teoria tornano, anche se tra gli osservatori le perplessità e i dubbi restano consistenti. La politica ondivaga della Casa Bianca, lascia spiazzati e genera continuamente supposizioni. Ad esempio: perché Trump ha nominato John Byers, come supervisore per la politica di difesa nell’Asia meridionale e sudorientale? È stata una scelta che ha sorpreso molti osservatori, perché Byers in precedenza aveva proposto addirittura il ritiro delle forze americane nelle Filippine, come merce di scambio per futuri negoziati con la Cina. Dove sta il “risiko” per Trump? Diciamo che nei suoi bluff da biscazziere diplomatico, forse dovrebbe ricalcolare meglio i cosiddetti “margini di escalation”, che nel caso specifico sono altissimi. Nel senso che i cinesi potrebbero essere di tentati di utilizzare lo scontro con le Filippine come “crisi per procura”, per testare la soglia di rottura dell’interventismo trumpiano. Una sorta di termometro per Taiwan.

Cina-Filippine a rischio altissimo

E i motivi per lo scontro con le Filippine ci sarebbero tutti. In un paio d’anni, Manila ha presentato quasi 200 proteste diplomatiche a Pechino, per gli assalti, quasi-abbordaggi, che hanno dovuto subire le sue navi. Sia quelle militari, che le imbarcazioni dei pescatori. Ecco i motivi, spiegati sinteticamente dal Morning Post: «La Cina rivendica oltre l’80 percento del Mar Cinese Meridionale come suo territorio esclusivo: un canale per 3 trilioni di dollari Usa di commercio globale, riserve stimate di 11 miliardi di barili di petrolio e 190 trilioni di piedi cubi di gas naturale, inclusa la maggior parte della zona economica esclusiva di Manila. Pechino sostiene che le sue rivendicazioni sono storicamente giustificate. Nel 2016 un tribunale Onu si è espresso in disaccordo, stabilendo che Manila ha diritti sulla sua Zona economica esclusiva di 200 miglia nautiche, una decisione che la Cina contesta e che ha cercato di ostacolare con la sua presenza imponente».

«Da allora Pechino – conclude il giornale di Hong Kong – ha intensificato le sue tattiche della ‘zona grigia’, ovvero attività non convenzionali e dirompenti, diverse dalla guerra, che possono includere molestie, accerchiamenti e intercettazioni rischiose».

 

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