
Una delle certezze, ormai, della politica americana, che sia gestita dai democratici o dai repubblicani, è il sostegno massiccio all’industria degli armamenti. Quando stava lasciando la Casa bianca, l’ex generale diventato presidente, eroe della Seconda guerra mondiale, Ike Eisenhower mise in guardia la società Usa dai troppi pericoli legati all’industria americana della morte. Nessuno dei suoi successori, purtroppo, si è mai preoccupato più di tanto di marginarla.
Una delle prime cose che ha fatto il presidente Trump è stato quello di revocare il blocco imposto dal suo predecessore Joe Biden su una spedizione di bombe da 2.000 libbre per Israele. Temeva che Netanyahu le potesse usare in zone densamente abitate di Gaza. O contro gli impianti nucleari iraniani. E a poche ore dall’ incontro tra il premier israeliano e Trump di cui ci ha raccontato Piero Orteca, è stato accolto con gioia a Tel Aviv la notizia che Washington si sta preparando a fornire altre armi ed equipaggiamento militare a Israele per un valore di circa un miliardo di dollari.
Il nuovo pacchetto sarà finanziato con gli aiuti militari (3,800 miliardi di dollari annuali) che gli Stati Uniti forniscono a Israele. Il nuovo regalo che sarà sicuramente approvata dal Congresso comprende migliaia di bombe da 1.000 libbre e bulldozer blindati utilizzati dall’ingegneria militare per radere val suolo Jenin.
Le sue dichiarazioni, serie o scherzose, vengono già prese con le pinze. Quando parla di Israele come paese molto importante ma geograficamente troppo piccolo molti si aspettano una sua via libera all’annessione della Cisgiordania da parte di Israele. Probabilmente non succederà e non sarà nemmeno accettata la sua folle idea di trasferire buona parte della popolazione di Gaza in Egitto e in Giordania. Il mondo arabo con alla testa i paesi che per Trump contano di più anche per ovvi motivi economi hanno già fatto sapere che sono nettamente contrari. A parte qualche dichiarazione comune che consentire a Netanyahu di tornare a casa e convincere i suoi alleati (dentro e fuori il governo) che tutto va bene, il futuro dei due spezzoni della Palestina resterà incerta.
Ci sarà, certamente, un invito a Netanyahu ad andare avanti con la seconda parte della tregua in corso nella speranza di far tornare a casa gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas e della Jihad Islamica. I due leader cercheranno una formula accettabile – ambigua come sempre – per guardare al futuro.
Un futuro in cui Trump si garantisce gli enormi investimenti in Usa promessi dall’Arabia saudita, la promessa che Netanyahu non scatenerà un attacco preventivo contro gli ayatollah di Teheran per consentire alla Casa bianca di imbastire con calma un nuovo accordo con l’Iran sul nucleare. E, ancora più importante per Trump, un periodo di calma in Medio Oriente che gli possa consentire di affermare di aver messo fine ad almeno una guerra.