
Un piano di semplificazioni burocratiche sollecitato dalle industrie di Francia e Germania e la risposta di Bruxelles arrivata il 29 gennaio con il “Competitiveness compact“. L’ispirazione è il ‘Rapporto Draghi sulla competitività’, l’obiettivo è evitare che l’industria europea soccomba a quella americana e cinese. «La battaglia demagogica del pluto-populismo americano si combatte all’insegna della deregulation, ovvero del taglio di lacci e lacciuoli normativi per dare impulso alle attività delle imprese». The Economist incorona Trump, Milei e Modi con un numero dedicato alla «rivoluzione contro il tappeto rosso delle regole che potrebbe dare il via a un nuovo periodo di crescita economica».
Per chi osserva il dietro le quinte del palcoscenico dove si esibiscono questi nuovi leader e i loro epigoni europei, appare un altro obiettivo: scardinare le istituzioni di controllo delle democrazie e le regole. È una partita che sta riuscendo perché nel tempo la percezione delle istituzioni è diventata negativa ovunque nel mondo occidentale e i cittadini si vanno ritirando dalla vita pubblica e dalla partecipazione politica. Le regole delle istituzioni sono considerate macchinose, mediate dalle élites e anacronistiche. E spesso lo sono anche.
L’Ue ha 21.000 persone assunte tra Commissione e Parlamento europeo, 11.000 tra collaboratori e portaborse. In totale un esercito di 32.000 persone che in 5 anni ha contribuito a costruire 13.500 nuove norme. Sappiamo che un impianto normativo serve a regolare la vita economica ed è funzionale al processo democratico. E’ anche comprensibile che la complessità del sistema di un’Unione di 27 Paesi lo renda imperfetto, molto meno quando il peso della politica e delle lobbies lo trasformano in un freno allo sviluppo.
Il piano per la competitività della Von der Leyen punta il faro sull’ingorgo di norme che frena le industrie europee e individua i nodi da sciogliere. Le leggi relative al clima, in primis. Il Green Deal non è in discussione, data l’evidenza del vantaggio economico della transizione verde per un continente senza materie prime. La complessità e la rigidità delle regole, sì. Il riferimento alle sanzioni per le industrie automobilistiche è chiaro. Il programma di semplificazione è diretto anche ai settori di energia, trasporti marittimi e ferroviari e tecnologia. La regolazione commerciale dovrà comprendere semplificazioni negli aspetti del diritto societario, dell’insolvenza, del lavoro e del diritto tributario.
Fin qui, la volontà di correggere le distorsioni e il tentativo di liberare risorse per un bilanciamento della libertà economica. Ma il “Competitiveness compact” rivela anche ombre che oscurano l’orizzonte dell’Unione nel ruolo di protagonista che dovrebbe assumere nell’economia globale. Laddove promette di accrescere la competività sull’innovazione «con una ampia strategia per il settore dell’intelligenza artificiale nel nostro continente».
Gli Usa hanno pronti 500 miliardi di dollari da investire, la Cina sta dimostrando di poter produrre a prezzi ridotti vincendo, ma l’Ue non ha una strategia finanziaria per aumentare la sua potenza di calcolo e le relative infrastrutture. Per non dire della necessità di attrarre talenti del settore che resta a totale appannaggio degli Stati Uniti.
Ma dove sono i soldi UE?
Senza l’unione dei mercati dei capitali il rischio è di assistere ad una corsa in ordine sparso per garantirsi la sopravvivenza stretti nella morsa delle economie di Usa e Cina. Una sfida che l’economia europea potrà sostenere solo con l’iniziativa politica e il rilancio di un modello di sviluppo in cui le regole difendano dall’assalto ai beni comuni (ambiente, open source digitale, privacy), e al tempo stesso permettano di produrre e redistribuire ricchezza per la collettività.