
I sostenitori dell’acquisto di gas russo affermano che ciò farebbe scendere i prezzi elevati dell’energia in Europa, incoraggerebbe Mosca a sedersi al tavolo delle trattative e darebbe a entrambe le parti una ragione per attuare e mantenere un cessate il fuoco”. Notizia che, se confermata (vista anche l’assoluta autorevolezza della fonte), segnerebbe una clamorosa inversione di tendenza rispetto alle strategie politiche fin qui seguite dall’Unione. Dunque, al di là di tutte le comparsate diplomatiche, che vedono imbelle protagonista l’UE, la solidarietà europea a Zelensky traballa. E dietro le farisaiche dichiarazioni di sostegno “incrollabile”, fino alla vittoria contro i russi invasori, si celano perplessità sempre più evidenti. Anzi, veri e propri dubbi che lievitano ogni giorno di più, sotto quello che potremmo definire come “effetto Trump”.
C’è, insomma, la chiara percezione che, al netto di tutta la contorta strategia geopolitica del nuovo Presidente Usa, gli Stati Uniti finiranno per mollare l’Ucraina. O quantomeno, per disimpegnarsi il più possibile, lasciando ai Paesi del Vecchio continente onori e oneri. A cominciare dalle somme (sterminate) che dovranno essere spese, per ricostruire una nazione devastata da un conflitto combattuto con le tattiche dell’Ottocento, ma con le armi del Terzo millennio. Il problema più evidente, tuttavia, è che l’Europa, in questa fase, è vittima dell’approccio ondivago di Trump sul dossier Ucraina.
Così, mentre le cose, sul campo di battaglia, per Zelensky vanno di male in peggio, il giro di valzer di Bruxelles arriva proprio in concomitanza (guarda caso) con un altro scoop, riguardante il presunto contenuto del Piano di pace “dei 100 giorni” di Trump. Lo ha pubblicato un’agenzia di stampa ucraina (‘Strana’), poi ripresa da Newseeek e da altri organi di informazione. Non ci sono conferme. E Zelensky, , dal canto suo smentisce, anche se non con grande convinzione. La rivista americana scrive che il Piano “prevede una telefonata con Putin a fine gennaio o inizio febbraio, un incontro con Putin e Zelensky a febbraio o marzo e la dichiarazione di un cessate il fuoco lungo le linee del fronte entro Pasqua. Stabilendo un cessate il fuoco – prosegue Newsweek – le truppe ucraine verrebbero ritirate anche da Kursk e una conferenza internazionale di pace inizierebbe”.
Ma cosa prevede l’accordo, entrando nei dettagli? Innanzitutto, la rinuncia di Kiev ad entrare nella Nato e una susseguente dichiarazione di neutralità. Per quanto riguarda, invece, l’Unione Europea, l’ingresso dell’Ucraina nella Comunità sarebbe previsto per il 2030. Questo passaggio impegnerebbe anche Bruxelles a sostenere la ricostruzione postbellica. “L’Ucraina manterrebbe anche le dimensioni del suo esercito – spiega ancora Newsweek – e continuerebbe a ricevere supporto militare dagli Stati Uniti. Inoltre, rifiuterebbe i tentativi militari e diplomatici di riconquistare i territori occupati e riconoscerebbe ufficialmente la sovranità della Federazione Russa su di essi”.
Come si vede, si tratta di clausole senz’altro pesanti per Kiev, che dovranno essere compensate da un trattato di contro assicurazione, che garantisca l’intangibilità delle sue frontiere future e della sua autonomia.
Inoltre, l’UE dovrà sopportare un esborso straordinario di risorse finanziarie, per sostenere sia la ricostruzione che le necessarie politiche di convergenza in vista dell’ingresso di Kiev nell’Unione. Infine, le sanzioni alla Russia verrebbero revocate gradualmente nel giro di tre anni. Per quanto, come detto, tutti smentiscano, la sostanza è che, dietro le quinte, la “diplomazia parallela” si muove. E così, torniamo al punto di partenza, cioè all’inversione “a U” della politica europea sulla crisi ucraina annunciata dal Financial Times, che riguarda l’eventuale ripresa dell’import di gas naturale russo.
“Tre dei funzionari informati sui colloqui – conclude il giornale britannico – hanno affermato che l’idea è stata approvata da alcuni funzionari tedeschi e ungheresi, con il sostegno di altre capitali che la vedono come un modo per ridurre i costi energetici europei. Alcuni grandi Stati membri – prosegue FT – esercitano pressioni sui prezzi dell’energia e questo è un modo per abbassarli, ovviamente, ha affermato un funzionario. Riprendere le esportazioni verso l’Europa aumenterebbe significativamente le entrate di Mosca.
Prima della guerra, i flussi attraverso i gasdotti dalla Russia rappresentavano circa il 40 percento delle forniture totali dell’UE, con la Germania come maggiore importatore”. Considerazione finale. Verrebbe quasi voglia di dire che in Europa, almeno per quanto riguarda solo l’Ucraina, forse molti la pensavano già come Trump, ancora prima che arrivasse Trump.
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