
Nell’ultima settimana il governo congolese aveva intensificato la lotta ai movimenti sovversivi presenti nel Paese ottenendo discreti risultati. colpiti sia il movimento ribelle M23, nato per proteggere l’etnia tutsi, già vittima del genocidio mandato dagli Hutu in Ruanda negli anni ‘90, sia, in misura maggiore, le ‘Forze democratiche alleate’ (Adf), uno dei numerosi gruppi armati attivi in Repubblica Democratica del Congo, movimento considerato terrorista e legato all’Isis, che ha reclamato come sue molte operazioni dell’Adf.
Dal punto di vista esclusivamente militare le manovre che hanno portato sono state un successo: molti capi di Adf sono stati uccisi, ma, dall’altra parte, sono aumentati i rapimenti e le vittime civili. Gli scontri hanno provocato un esodo della popolazione verso Ovest. L’area occidentale però è scoperta dalla protezione statale e i civili vengono tragicamente colpiti da altre frange della stessa guerra che cercavano di evitare. L’ultimo sviluppo rilevante di questo conflitto riguarda la presa di Goma, nell’Est del Paese, da parte del gruppo M23.
Con una popolazione che sfiora i due milioni di abitanti, Goma è un polo strategico sia per gli aiuti umanitari che per la sicurezza interna a causa della sua vicinanza geografica al Ruanda, accusato di parteggiare per i militanti di M23. Con la presa della città da parte del movimento M23 il conflitto ha ripreso vigore nel Nord Kivu, portando ad un’ennesima fuga di civili dalla città. L’attacco è iniziato nel fine settimana passato ed ha inflitto danni pesanti alle Forze Armate congolesi, con l’uccisione del generale Pacifique Ntawunguka.
I miliziani di M23 che ora controllano a città, saccheggiano e, secondo le testimonianze dei civili in fuga, molti si sono diretti verso il Ruanda con mezzi carichi persino di oggetti di uso quotidiano come materassi o coperte. Il bilancio delle violenze sulla popolazione di Goma è drammatico: alcuni carceri sono stati incendiati con i detenuti al loro interno, molti civili sono stati colpiti da scontri a fuoco e molti altri sono stati costretti a trovare riparo in campi profughi.
La vita nella città è diventata impossibile a causa della mancanza di aiuti umanitari senza elettricità ed acqua. La raccomandazione del governo è di uscire di casa solo in caso di assoluta necessità: gli abitanti di Goma prigionieri in casa propria e alla mercé dei miliziani di M23. Già nel 2012 la M23 era riuscita a conquistare e mantenere il controllo di Goma. Dopo due settimane, tuttavia, la città fu liberata, sotto la pressione internazionale e la chiusura dei programmi di sviluppo in Ruanda.
Pierre Haski, France Inter, Francia
«Per comprendere il contesto del conflitto bisogna tornare al genocidio ruandese del 1994, quando gli autori dei massacri si rifugiarono nella Rdc dopo la vittoria degli uomini di Paul Kagame, tuttora al potere in Ruanda. Questo è il punto di partenza di uno scontro sanguinoso in questa zona senza legge, dove la presenza dello stato congolese è meno forte che in altre aree del paese.
La repressione digitale coordinata da Kigali
A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che il sottosuolo della regione è ricco dei minerali più ambiti del mondo, indispensabili per costruire i dispositivi digitali che usiamo ogni giorno e per la transizione ecologica. La Rdc accusa il Ruanda di aver sfruttato l’M23 per saccheggiare le sue risorse minerarie. Alcuni mesi fa il governo di Kinshasa aveva fatto causa ad Apple per l’uso di minerali ottenuti illegalmente nella regione.
Anime sporche
Tutti sanno che il Ruanda è direttamente coinvolto nella guerra contro lo stato vicino, eppure nessuno interviene. Tra i motivi di questa immobilità c’è sicuramente il ricordo del genocidio ruandese: è sempre difficile accusare uno stato che in passato è stato vittima di un’aggressione. La Francia, che da poco ha completato un difficile processo di riconciliazione con il Ruanda, ha evitato a lungo di farsi coinvolgere […]
Africa troppo nera per Trump
Uno dei paesi che possono esercitare una certa influenza sul Ruanda sono gli Stati Uniti, o meglio, sarebbero gli Stati Uniti. Donald Trump, infatti, ignora del tutto il continente africano, dove tra l’altro non ha mai messo piede durante il suo primo mandato. Questa assenza alleggerisce le pressioni su Kagame. A questo punto non possiamo escludere che il cambio di amministrazione a Washington abbia permesso l’offensiva in un contesto di impunità garantita.
Mediazione africana
I paesi africani cercano di proporre una mediazione. Il Kenya ha tentato (finora invano) di riunire allo stesso tavolo Kagame e il presidente congolese Félix Tshisekedi, mentre l’Angola ha gestito diverse trattative, anche in questo caso senza successo. La comunità internazionale non ha gli strumenti per affrontare una crisi che minaccia di allargarsi, con un costo umano drammatico. È l’ennesimo focolaio in un mondo in fiamme».erre Haski, France Inter, Francia