
L’operazione Muro di Ferro è partita con una serie di attacchi con droni e aerei: almeno nove persone sono state uccise e 35 ferite. Non è stato chiarito se le vittime siano appartenenti alle fazioni di Hamas e Jihad islamica palestinese. I piani militari, hanno riferito funzionari israeliani, sono stati coordinati con l’Autorità nazionale palestinese, che teme la presenza dei rivali politici in Cisgiordania. Non solo operazioni militari. Nella notte tra lunedì e martedì decine di coloni israeliani hanno assaltato i villaggi palestinesi di Jinsafut e al Funduq. Le autorità israeliane sono accusate di ‘complicità di fatto’ sulla violenza dilagante dei coloni. La responsabilità viene attribuita al ministro dimissionario Itamar Ben Gvir, sostenitore dei coloni e colono lui stesso. Donald Trump, appena reinsediato nello Studio Ovale, ha firmato l’ordine esecutivo per revocare le sanzioni ai coloni in Cisgiordania, invertendo così la politica del suo predecessore.
Quella che Israele ha lanciato ieri contro Jenin, città simbolo della resistenza palestinese all’occupazione, è una offensiva che si annuncia di vaste proporzioni, avverte Michele Giorgio sul manifesto. «Di fatto è un il capitolo successivo della guerra a Gaza». Netanyahu l’ha chiamata «Muro di Ferro», in onore del manifesto ideologico del leader sionista, e suo modello di riferimento, Zeev Jabotinsky, che nel 1923 scrisse di una colonizzazione sionista in Palestina attraverso un «muro di ferro che la popolazione nativa non può violare… Non può esserci alcun accordo volontario tra noi e gli arabi palestinesi». È una esortazione all’uso sistematico della forza che coincide con la guerra incessante che 102 anni dopo, Netanyahu da Gaza ora porta nella Cisgiordania occupata. «E non finisce qui», ha comunicato l’ufficio di Netanyahu. Jenin, perciò, è solo l’inizio di una campagna militare che arriverà in altre città dove Israele vuole «sradicare il terrorismo» e continuare la «distruzione di Hamas».
Il capo di stato maggiore Halevy ieri ha annunciato le sue dimissioni per il 6 marzo, assieme al comandante della regione meridionale Yoram Finkelman, per il «fallimento del 7 ottobre 2023». Nel frattempo sarà lui a guidare fino a marzo «Muro di Ferro». Ma il capo militare dietro le quinte sarà il ministro ultranazionalista delle Finanze, Bezalel Smotrich. Oppositore della tregua a Gaza, Smotrich dice di aver avuto da Netanyahu l’assicurazione che la guerra continuerà. La tv Canale 14 aggiunge che grazie alle pressioni del ministro delle Finanze sono stati approvati «cambiamenti secondo i quali la libertà di movimento in Cisgiordania è un diritto fondamentale, in primo luogo, per i coloni ebrei». E i coloni, forti anche della decisione di Trump di revocare le sanzioni Usa contro alcuni di essi, la «libertà di movimento» in Cisgiordania la stanno usando lanciando attacchi e raid contro i villaggi palestinesi dove danno alle fiamme edifici e auto e distruggono coltivazioni e alberi. Mentre l’’esercito resta a guardare.
La Cisgiordania è un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi ma che da decenni Israele occupa illegalmente con la costruzione di colonie, in violazione di diverse norme del diritto internazionale. Già durante il suo primo mandato l’amministrazione di Trump aveva mostrato sostegno alle politiche aggressive del governo di Netanyahu in Cisgiordania e agli insediamenti dei coloni israeliani. Le violenze nei confronti dei palestinesi, compiute dai coloni o dall’esercito israeliano, sono state comuni e moltiplicate per tutta la durata della guerra nella Striscia di Gaza. Gli attacchi dell’esercito israeliano e/o dei coloni in Cisgiordania successivi al 7 ottobre del 2023 hanno ucciso più di 800 persone, molte delle quali erano minorenni. Ora il ministro di estrema destra, Bezalel Smotrich, ha dichiarato che questo è solo l’inizio di una «potente e prolungata campagna finalizzata a proteggere le colonie e i coloni», non è chiaro da cosa debbano essere protetti i loro insediamenti armati ed in costante espansione.
Politici come Smotrich chiedevano da tempo la rimozione delle sanzioni statunitensi ai coloni, accontentati nel primo giorno di potere di Trump presidente. Non è stato l’unico provvedimento a favore di Israele. Con un altro ordine esecutivo Trump ha ripristinato le sanzioni (sospese da Biden) alla Corte penale internazionale, il tribunale che ha emesso un mandato d’arresto contro Netanyahu. Infine il governo israeliano si aspetta che la nuova amministrazione statunitense sblocchi l’invio di un grosso carico di armi, atteso dallo scorso maggio. «Prese insieme, queste tre decisioni sembrano confermare le previsioni che la prossima amministrazione statunitense sarà la più filo-israeliana da decenni», ha scritto il Financial Times.