
Regalo a Trump o col suo placet segreto?
Accordo sì, accordo ancora no, per dei dettagli. Esclusa una crudele e planetaria presa in giro, per non troppo dispiacere a Trump, gli uni e gli altri decidono per un compromesso, resta da chiedersi se poi sarà effettivamente messo in pratica e rispettato.
Netanyahu, è chiaro, non vuole assolutamente impegnarsi, come chiedono i palestinesi, a mettere fine alla guerra. Il premier israeliano deve fare i conti con le pressioni dell’estrema destra messianica e quelle legate ai suoi procedimenti giudiziari che potrebbero portare a condanne per corruzione e altro. Hamas vuole almeno un successo per giustificare l’enormità di morti e di feriti (di cui non si ha una cifra precisa), e la devastazione a Gaza compiuta da Israele dopo l’attacco alle comunità israeliane il 7 ottobre 2023. Per ora, i negoziati in corso sotto la pressione americana sembrano aver convinto gli uni e gli altri a trovare il modo per consentire a Trump di sbandierare un successo il giorno in cui giurerà fedeltà alla Costituzione americana.
I punti non risolti non sono di poca importanza. Hamas vuole che l’accordo segnali la fine della guerra, delle azioni militari e civili contro i palestinesi di Gaza. Ci sono anche alcune questioni riguardo il numero e i nomi dei prigionieri palestinesi che saranno rilasciati. E anche se si dovesse effettivamente firmare un accordo-compromesso, potrebbe essere sufficiente un piccolo incidente per bloccare tutto. Le forze armate israeliane continuano a attaccare nel Libano meridionale anche se Tel Aviv si era impegnato, anche con Washington, a sospendere le incursioni.
Oltre alla questione prettamente militare, preoccupa il futuro di Gaza. La leadership israeliana continua a mandare segnali contrastanti. E l’ala più fanatica del governo, legata al movimento dei coloni, mentre minaccia di far cadere il governo se non saranno accolte le loro richieste di colonizzare la striscia di Gaza (o parte di essa) si sta muovendo per sfruttare i loro alleati nella nuova amministrazione americana e quanto meno accelerare il processo di colonizzazione della Cisgiordania. E l’annessione a Israele (ormai dato per scontato negli ambienti governativi a Gerusalemme) del vasto territorio occupato.
Una delegazione ufficiale di leader dei coloni parteciperà all’inaugurazione di Donald Trump, e parteciperà al lancio di un nuovo caucus repubblicano – gli “Amici della Giudea e della Samaria” al Congresso. Hanno già individuato un alleato nel nuovo ambasciatore americano Mike Huckabee. Da quando l’attuale governo Netanyahu è entrato in carica, è stato portato avanti un numero record di unità abitative ebraiche in tutta la Cisgiordania. Nel 2023, 12.349 unità abitative, un livello record. Nel 2024 sono state approvate 9.884 unità abitative.
L’aumento significato delle approvazioni rispetto al passato – è il risultato di cambiamenti politici fondamentali. In precedenza, i piani di costruzione degli insediamenti richiedevano l’approvazione preventiva del Ministro della Difesa. Il 2025 che si apre ancora con Netanyahu e con la benedizione di Trump di ritorno, potrebbe vedere un numero record di unità abitative nella Cisgiordania occupata, con una media di circa 1.800 nuove unità al mese.