
La componente razzista è certamente la più nota e terribile, ma – al tempo stesso – la più rappresentativa del nazismo. Fu la prima a maturare nel futuro dittatore già negli anni Dieci del Novecento, quando si trovava a Vienna e conduceva una vita vagabonda e indigente. Le prime idee razziste non furono antisemite in senso stretto, ma antislave in quanto Hitler fu a contatto con gli ambienti dell’immmigrazione dalla parte orientale dell’impero: attratti dalle prospettive di lavoro nella capitale, decine di migliaia di sudditi slavi dalla Galizia, dalla Bucovina o dai Balcani, si erano ammassati nei quartieri più popolari.
Anche l’antisemitismo era tuttavia diffuso in città ed aveva nel borgomastro Lueger, ma anche in altri ambienti pseudoculturali, una voce importante. Quando si giunse alla saldatura delle due componenti, la sintesi – come scrisse nel ‘Mein Kampf’ – fu semplicemente: «Giacchè sono diversi, se ne devono andare».
Seguì la presa di posizione pangermanista, nel senso che l’impero multinazionale degli Asburgo ai suoi occhi non poteva diventare la ‘patria’ di tutti tedeschi: per questo, sottraendosi alla coscrizione obbligatoria in Austria, Hitler raggiunse Monaco di Baviera, dove allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruolò nell’esercito tedesco.
Un’altra componente del pensiero originario che si sviluppò nella capitale austriaca fu anche l’avversione per qualunque forma di democrazia, sentimento che si sviluppò dal diffuso antiparlamentarismo austriaco. Questa fase iniziale si sarebbe rivelata poi determinante per tutto il resto della vita.
A parte l’eliminazione fisica degli avversari politici -anche interni al nazismo come nel caso di Ernst Roehm- praticata direttamente o attraverso l’internamento in campi dai quali non si usciva, la memoria del nazismo è principalmente legata all’Olocausto, lo sterminio degli ebrei europei. Non si trattò della sola azione criminosa: il 1° settembre 1939, con un ordine scritto dallo stesso Hitler, fu disposta l’eliminazione delle cosiddette ‘bocche inutili’.
Nei due anni successivi almeno centomila tedeschi, gravemente ammalati o con problemi psichiatrici, tra i quali circa tremila bambini tratti dalle classi differenziali furono eliminati. Nello stesso periodo ebbe inizia la persecuzione degli zingari allo scopo di eliminare elementi asociali: una stima totale delle vittime è ancora controversa, ma si aggira intorno alle seicentomila persone.
Dopo l’occupazione della Polonia iniziò l’eliminazione della classe dirigente polacca e di numerose comunità ebraiche nell’area: manca un ordine scritto, ma è confermato da centinaia di testimonianze orali che le disposizioni provennero dal livello ‘più alto’, anche se un generale della Wehrmacht protestò contro quelle che riteneva ‘gravi brutalità’ isolate.
Lo stesso trattamento fu inflitto alla popolazione civile russa dopo l’attacco del giugno 1941 e i comportamenti criminali nei confronti delle popolazioni civili si estesero in tutti i paesi occupati, dalla Norvegia alla Grecia, dalla Francia alla Jugoslavia. Anche distinguendo tra crimini di guerra e crimimi voluti deliberatamente, restano milioni e milioni di vittime.
Un altro aspetto importante della macchina dell’orrore nazista fu la propaganda che penetrò in maniera capillare la Germania e i paesi occupati. Già nel 1933, appena all’indomani della presa del potere, fu presentato il «Volksempfänger» (letteralmente ‘ricevitore del popolo’), un’apparato radio ad un prezzo relativamente economico per ricevere le notizie ufficiali, ovvero quelle prodotte dalla macchina diretta da Joseph Goebbels. Al processo di Norimberga Albrecht Speer sottolineò che il connubio tra l’azione di Goebbels e la nuova tecnologia fu determinante per soggiogare ottanta milioni di tedeschi e diffondere antisemitismo e nazionalismo estremo.
La propaganda tuttavia non si fermò alla radio: il cinema realizzò decine di film su questi stessi temi. Che il cinema, nonostante le difficoltà della guerra, fosse comunque considerato molto importante, basti ricordare che per girare un kolossal come ‘Kolberg’, nel 1944 furono impegati come comparse migliaia di soldati tratti dal fronte orientale al quale sarebbero tornati in fretta dopo le riprese.
Nel settore dell’editoria furono stampate milioni di copie di ‘Mein Kampf’, del quale – prima del 1933 – erano state vendute però poco più di duecentomila copie. Gli altri libri di contenuto contrario sparirono di fatto dopo i pubblici roghi a Berlino. Anche il teatro e la musica finirono sotto stretto controllo nazista che non si limitò alla programmazione degli spettacoli, ma degli stessi attori o dei musicisti.
Avvenne anche, in previsione della guerra fosse compilata una lista di artisti da preservare in ogni caso non inviandoli al fronte. Poiché gli altri invece al fronte ci finirono davvero, si comprendono alcune aspre polemiche sorte nel dopoguerra su determinate carriere artistiche.