Donald meno di Vladimir, ma…
Il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà probabilmente meno violento e sbrigativo di Vladimir Putin, il quale, per analoghe strategie geopolitiche, non ha esitato a invadere l’Ucraina e non esita a difendere con qualsiasi mezzo, diretto o indiretto, l’influenza della Russia sui Paesi dell’Est europeo, sull’Africa e – sia pure in modo meno efficace – sull’Europa in generale.
Europa vaso di coccio
Europa che in questo contesto appare sempre più come il vaso di coccio, incapace di costruire un’autonoma politica di difesa e una propria strategia diplomatica e industriale, pur continuando ad avere (basterebbe che qualcuno leggesse il rapporto Draghi) ancora enormi potenziali di crescita e di successo planetario come modello di società e di democrazia sostanziale.
Il presidente eletto ha ribadito in modo esplicito l’ambizione di annettere il Canale di Panama e il territorio autonomo della Danimarca, se necessario con la forza. E ha fatto intendere le mire espansionistiche sul Canada, peraltro in piena crisi politica, attraverso dei dazi e ritorsioni commerciali. «Non accadeva dai tempi di William McKinley, coinvolto nella guerra ispano-americana alla fine del XIXsecolo, che un presidente americano eletto minacciasse così palesemente di usare la forza per espandere i confini territoriali del suo Paese», ha osservato il New York Times.
Nella conferenza stampa di martedì, ha minacciato la ‘forza economica ‘ contro il Canada, dopo aver detto il giorno prima che era nell’interesse di questo alleato degli Stati Uniti diventare il « Cinquantunesimo Stato americano». Deciditi! «Il Canada non farà mai e poi mai parte degli Stati Uniti», ha replicato il primo ministro dimissionario Justin Trudeau, confermando implicitamente che la minaccia americana non è una sparata propagandistica.
Le affermazioni di Trump contraddicono l’analisi ricorrente che vorrebbe la Casa Bianca isolazionista e meno interessata a espandere il ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Se sia probabile un allentamento dell’attenzione verso l’Europa, si è alzata la soglia degli interessi sul cosiddetto «giardino di casa», dal Sud al Nord delle Americhe. In questo senso, la sfida per limitare l’alleanza di convenienza russo-cinese è davvero globale. Va precisato che secondo fonti della Casa Bianca, riportate dal Wall Street Journal, le dichiarazioni di Trump non vanno prese alla lettera ma interpretate con l’obiettivo di ottenere vantaggi economici o di sicurezza.
«La promessa di Trump di annettere il Canada ‘sarebbe’ nient’altro che una spacconata volta a fare pressione ‘sul governo’ prima dei negoziati commerciali con Ottawa», affermano alcuni consiglieri. Quanto alla minaccia di riprendersi il canale, si tratterebbe di «uno stratagemma per ottenere prezzi più bassi per le navi statunitensi che transitano per Panama. La sua ossessione per l’acquisizione della Groenlandia mira a ottenere l’accesso alle terre rare e a negarle alla Cina», aggiungono.
La Storia tuttavia insegna che le spacconate propagandistiche, le ambizioni territoriali e le guerre commerciali talvolta sfociano in deflagrazioni molto più drammatiche. Quella recente dell’Ucraina dovrebbe essere un monito per tutta l’umanità. Secondo il WSJ, Trump ha attualizzato la vecchia idea che le grandi potenze dovrebbero difendere interessi economici e di sicurezza imponendo la loro volontà ai vicini più piccoli. Ma questa è anche la vecchia mai sopita idea del Cremlino.
La differenza, per ora, sta nei mezzi impiegati. Per quanto riguarda gli Usa di Trump, il tentativo di condizionare l’informazione e quindi la politica in tutto il mondo è ormai un’evidenza. Uno dopo l’altro, i principali dirigenti tecnologici americani si stanno schierando a favore del presidente e dell’uomo che di fatto è diventato il suo principale collaboratore politico, Elon Musk, boss di Tesla, SpaceX e del social network X. E dopo Musk e Bezos, è entrato in campo anche Mark Zuckerberg.
Il fondatore di Meta – tre miliardi di utenti – con le sue applicazioni Facebook, Instagram e WhatsApp – ha annunciato un importante cambiamento sui contenuti, parallelamente a sostituzioni di posizioni apicali. «Ci sbarazzeremo dei ‘fact-checker’ e li sostituiremo con valutazioni della comunità simili a quelle di X”, ha spiegato Mark Zuckerberg. Secondo Zuckerberg, i fact-checker, accusati di essere politicamente di sinistra, sono stati “troppo di parte” e hanno “distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata, soprattutto negli Stati Uniti”.
Sembra quasi una confessione senza chiedere perdono. E allora ‘pecchiamo liberamente’. «L’azienda – si nota in un’inchiesta di Le Monde – sta quindi spostando i suoi team di moderazione dei contenuti dalla California, bastione del progressismo democratico, al Texas, Stato profondamente repubblicano e conservatore. È qui che Elon Musk, in contrasto con i democratici della Silicon Valley, ha scelto di trasferire il quartier generale di Tesla durante la pandemia Covid-19».
Come si è visto in queste settimane, Elon Musk ha intensificato la sua influenza politica nel Regno Unito, in Germania e guarda con grande interesse all’Italia e alla Francia. Da parte sua, Mark Zuckerberg ha accusato l’Unione Europea di “un numero sempre crescente di leggi che istituzionalizzano la censura”. Si tratta di capire se l’ideale della libertà d’espressione non sottenda appunto l’auspicio di eliminare forme di controllo su contenuti e processi innovativi. «Lavoreremo con il presidente Trump per fare pressione sui governi di tutto il mondo che attaccano le imprese americane e spingono per una maggiore censura», ha dichiarato Zuckerberg.
Si tratta di un’inversione di campo spettacolare, determinata a quanto pare anche da tensioni con l’amministrazione Biden. Zuckerberg finanzierà la cerimonia di insediamento del 20 gennaio con un milione di dollari. Una giravolta simile a quella di Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post, in passato criticato da Donald Trump durante il suo primo mandato. Già in campagna elettorale, il Washington Post aveva smesso di sostenere la candidata democratica Kamala Harris. Anche Sam Altman, il fondatore di OpenAI, legato a Microsoft, finanzierà la cerimonia di insediamento di Donald Trump.
A parte Elon Musk, le cui convinzioni lo avvicinano alle estreme destre europee, l’ avvicinamento a Trump da parte dei colossi dell’hight tech sembra determinato soprattutto da interessi commerciali e strategici più che da una convinta adesione ideologica. Il bersaglio è ancora l’Europa, «colpevole» di affibbiare multe e tasse e di normative che frenano le innovazioni anche con comprensibili preoccupazioni etiche. Basti pensare alle infinite applicazioni dell’intelligenza artificiale. Ma le conseguenze di questa offensiva a tutto campo non tarderanno a farsi sentire.