Gli Stati Uniti che chiedono all’Iran ‘il rilascio immediato e incondizionato’ di tutti i detenuti senza giusta causa, inclusa Cecilia Sala, un vero e proprio atto di resa, e per lei il guaio di cui sapevamo diventa pasticcio internazionale ufficiale con tempi indeterminati. Cecilia Sala ostaggio di una pessima politica occidentale.
L’Irna, l’agenzia di stampa semiufficiale del governo iraniano, ha finalmente dato notizia dell’arresto di Cecilia Sala. Il 19 dicembre, un giorno prima del suo rientro a Roma, e il giorno dopo che Mohamed Abedini, ricercatore iraniano in transito a Malpensa è stato arrestato su richiesta statunitense. Accusa iraniana contro Cecilia: «violazione delle leggi della Repubblica islamica». Il tutto e il nulla.
A Milano intanto, parte ufficiale nota, l’avvocato di Mohamed Abedini ha chiesto il trasferimento agli arresti domiciliari del suo cliente, al momento rinchiuso nel carcere di Opera, mentre sabato dagli Stati Uniti è arrivata la richiesta di estradizione, con annessa raccomandazione di tenerlo in carcere per timore della sua fuga.
Le accuse nei confronti di Cecilia Sala, «violazione delle leggi della Repubblica islamica», sono platealmente generiche, tanto da non significare molto in termini legali reali. Salvo diverse motivazioni e azioni politiche. La lettura dei fatti da parte degli ‘Iranianlogi’. «La prima ammissione ufficiale di aver arrestato Cecilia Sala rappresenta un (piccolo) passo in avanti della vicenda nel suo complesso. È un segnale che è stata arrestata per fare uno scambio», spiega a Fanpage il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury.
Ma a far ben sperare Roma è però proprio la formulazione generica di accuse verso la giornalista diffusa a 12 giorni dall’arresto. Per ora scongiura le ipotesi di reato più gravi, come spionaggio o collaborazione con lo Stato di Israele. Per la legge iraniana, Sala avrebbe già dovuto conoscere entro 24 ore dal fermo l’ipotesi di reato per la quale è stata arrestata. Intanto le autorità hanno consegnato alla diplomazia italiana la lista di avvocati tra i quali scegliere la difesa per la giornalista. La formulazione definita dell’accusa permetterà di capire dove Teheran vogliua fissare l’asticella, se voglia mettere più o meno pressione a Roma con le accuse più gravi.
Mohamed Abedini, il 38enne cittadino svizzero-iraniano arrestato il 16 dicembre all’aeroporto di Milano-Malpensa perché ricercato dagli Stati Uniti. Accusato di aver violato le sanzioni contro il suo stesso Paese fornendo al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica componenti per i droni utilizzati per attaccare un avamposto di Washington in Giordania lo scorso gennaio, causando 3 vittime e una cinquantina di feriti. Fornitori di armi attenti a voi, verrebbe da dire. La richiesta di arresti domiciliari per il tecnico iraniano subito contrastata da una sollecitazione Usa (tra quelle note), di carcere per pericolo di fuga. «Non c’è alcun pericolo di fuga del mio assistito», dice l’avvocato che cerca di spostare l’udienza sulla richiesta Usa a dopo l’Epifania. Il tempo di un confronto con gli inquirenti milanesi (e la politica romana), anche perché Abedini in Italia non è accusato di nulla. In più, Abedini, sempre che venisse dimostrato, non avrebbe supportato una ‘organizzazione straniera’ rispetto a se stesso, in quanto cittadino iraniano. In secondo luogo, a differenza degli Stati Uniti né l’Italia né l’Ue hanno inserito con uguale formulazione il ‘Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica’ nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Al di là dell’iter da seguire in tribunale, sottolinea Manlio Di Vito sul manifesto, la vera partita diplomatica si gioca quasi tutta a Roma, «dove il governo giura di star facendo il possibile per riportare Sala a casa». Il momento è difficile e delicato -bisogna gestire contemporaneamente sia la partita con l’Iran sia quella con gli Usa- e la politica questa volta sembra averlo capito. Le opposizioni sostanzialmente in silenzio e il Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, non ha dato sin qui segni di vita. Competenza diretta e personale del ministro degli Esteri Antonio Tajani, di quello della Giustizia Carlo Nordio e del sottosegretario Alfredo Mantovano, ‘autorità delegata ai servizi di informazione e sicurezza’, con l’Aise coinvolto da subito. Tutti a destreggiarsi tra la fermezza/prepotenza di Washington e la flessibilità che impone una situazione del genere.
È il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ex magistrato, che potrebbe chiedere la revoca delle misure cautelari dell’iraniano (articolo 718 del codice di procedura penale), ed è sempre lui che, al termine del percorso giudiziario, ha l’ultima parola sull’estradizione. Il problema è che liberare Abedini per via politica sarebbe uno sgarbo agli alleati statunitensi e anche farlo per via giudiziaria -concedendogli ad esempio i domiciliari- sarebbe un’azione malvista dall’altra parte dell’Atlantico. Buona memoria di Manlio Di Vito che ripropone le polemiche sul trafficante d’armi russo Artem Uss, anche lui ricercato dagli States, mandato a casa col braccialetto elettronico e poi fuggito. Allora Nordio non brillò per sensibilità, mettendo sotto accusa i magistrati che avevano deciso la scarcerazione.
Il Dipartimento di Stato dell’ultimo Bliken, 20 giorni all’arrivo di Trump e del suo nuovo ministro, l’ex procuratrice generale della Florida Pam Bondi insiste sulla linea dura e ‘caso Sala come merce di scambio’. Per quanto noto e dicibile, le trattative tra Roma e Teheran riguardano per lo più le condizioni carcerarie della giornalista, che resta in isolamento ma ha ottenuto piccoli miglioramenti per il vitto e la possibilità di telefonare a casa. L’Italia, dal canto suo, ha concesso ad Abedini di passare dal carcere di Rossano (la «Guantanamo di Calabria», dove sono rinchiusi quasi tutti gli accusati di terrorismo internazionale) a quello di Opera, a Milano. ‘Piccoli passi’ sottolineano in molti, forse solo simbolici, per riuscire a far tornare Cecilia Sala nel più breve tempo possibile.
Auguri di un breve 2025 iraniano, Cecilia Sala e di un vicinissimo ritorno a casa.