Presidenti: l’addio di Jimmy Carter e conferme in Croazia

È morto Jimmy Carter. Aveva 100 anni: fu presidente degli Stati Uniti per un solo mandato in mezzo a molte crisi, vittima di sporche trame nell’ «October Surprise», Voleva vivere ancore per votare Dem, ma non dovrà rivedere Trump alla Casa Bianca. Personaggio da rivalutare. In Croazia il presidente uscente Milanović ha sfiorato la rielezione subito, col 49,1 dei voti e ora il ballottaggio di rito senza partita.

Il presidente croato Zoran Milanović

Jimmy Carter, e la sporca «October Surprise»

È morto a 100 anni Jimmy Carter, che fu il 39° presidente degli Stati Uniti tra il 1977 e il 1981, in un periodo segnato principalmente dalla crisi degli ostaggi americani a Teheran che gli costò la rielezione, tra le oscure trame della «October surpise», su sporche trattative segrete con i sequestratori iraniani per forzare il voto della rielezione, e la liberazione degli ostaggi americani a Tehran pochi minuto dopo il giuramento di Ronald Reagan neo presidente.

L’idealista premio Nobel

Per lo storico Joseph Crespino «nessun altro presidente ha vissuto abbastanza da assistere alla formazione della sua eredità politica mentre era ancora in vita». «Invece di prendersela a male per la sconfitta» ottenuta contro il Repubblicano Ronald Reagan nel 1980, ha spiegato Crespino, «usò l’influenza e la notorietà guadagnate in politica per aiutare milioni di persone, e vincere un Premio Nobel per la Pace» nel 2002. Politico ‘di periferia’, nel 1962 venne eletto senatore per la Georgia e nel 1966 si candidò a governatore perdendo: vinse però le elezioni successive, nel 1971. Rimase governatore fino al 1975, quando aveva iniziato la campagna per le presidenziali.

Uno semisconosciuto alla Casa Bianca

Nella campagna per le primarie del Partito Democratico, Carter non era affatto tra i candidati più in vista. Il favorito sembrava essere George Wallace, dell’Alabama, ben più conosciuto a livello nazionale per le sue dure posizioni a favore della segregazione delle persone nere. Carter, per farsi conoscere, pubblicò una breve autobiografia intitolata Why Not the Best?. Il tono ottimista della sua campagna e un outsider, un imprenditore prestato alla politica, lo aiutarono: lo scandalo del Watergate che aveva investito la presidenza di Richard Nixon era ancora fresco, e la fiducia degli americani nei confronti della politica nazionale era ai minimi storici.

Carter vinse prima le primarie del suo partito e poi anche la sfida contro il candidato del Partito Repubblicano, Gerald Ford, che era stato vicepresidente di Nixon e lo aveva sostituito dopo le dimissioni nel 1973.

I problemi della presidenza

La presidenza di Carter ebbe molti problemi fin dall’inizio, in gran parte ereditati. La crisi petrolifera del 1973 quando i paesi produttori di petrolio come ritorsione per la sconfitta subita da Egitto e Siria nella guerra dello Yom Kippur, contro Israele. Il cosiddetto “shock petrolifero” che in Italia ricordiamo con le ‘domeniche senza auto’. Il problema si aggravò con un’altra crisi in Medio Oriente: la rivoluzione in Iran che trasformò il paese in una Repubblica Islamica, nel 1979. Decisiva la presa in ostaggio dei 53 dipendenti dell’ambasciata statunitense. La gran parte di questi fu liberata solo 444 giorni dopo, alla fine di un lungo e poco chiaro negoziato, gestito in gran parte dall’allora capo della Cia, George Bush, futuro presidente e padre di altro presidente.

Un presidente sottovalutato

Secondo molti analisti e studiosi, Carter è uno dei presidenti più sottovalutati dell’ultimo secolo, perché la sua presidenza viene ricordata «semplicisticamente» come un fallimento, mentre in realtà fu più significativa di quanto sembri: «A lui si devono gli accordi di pace tra Israele ed Egitto a Camp David, l’accordo SALT II sul controllo delle armi [strategiche internazionali, ndr], la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e commerciali con la Cina, la riforma dell’immigrazione. Fu lui che rese il rispetto dei diritti umani un principio cardine della politica estera americana». Nel 2002 Carter ricevette il Premio Nobel per la Pace grazie al suo «sforzo decennale nel trovare soluzioni pacifiche a conflitti internazionali», anche per il suo ruolo in quell’accordo di pace tra Israele ed Egitto, nel 1979.

Croazia, presidente confermato quasi al primo turno

Il presidente uscente della Croazia Zoran Milanović ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali con il 49,1 per cento dei voti. Milanović è sostenuto da una coalizione di partiti di centrosinistra ed era dato ampiamente come favorito: non superato per un pelo il 50 per cento dei voti, ballottaggio di fatto senza gara il 12 gennaio. Il secondo candidato più votato è stato Dragan Primorac, ex ministro di centrodestra, che avrebbe ottenuto il 19,3 per cento. Milanović è sostenuto dal Partito Socialdemocratico e da diversi altri partiti di centrosinistra, mentre Primorac fa parte dell’Unione Democratica Croata, l’HDZ. Rivoluzione politico culturale in corso.

HDZ di centrodestra, sino a ieri partito egemone, erede del presidente e Padre della Croazia indipendente post jugoslava Franjo Tuđman, tra i protagonisti della traumatica frantumazione nazionalista dell’eredità di Tito, assieme al serbo Slobodan Milošević, e al bosniaco Alija Izetbegović.

Carter, un presidente senza più eredi

Una riflessione sulla presidenza Carter dell’ex ambasciatore Giuseppe Cassini su cui è utile riflettere. «Se è vero, come scriveva Shakespeare, che Iil male compiuto dagli uomini si prolunga oltre la vita mentre il bene è spesso sepolto con le loro ossa”, dobbiamo evitare che questo accada con Carter».

I primati

«Gli accordi di pace di Camp David tra Egitto e Israele; riapertura delle relazioni diplomatiche con Cuba; blocco degli esperimenti sulla Bomba N (al neutrone); firma del trattato Salt II con l’Urss per limitare le armi strategiche; restituzione a Panama della sovranità sul Canale; storica visita a Washington di Deng Xiaoping; riforma dell’immigrazione con regole più umanitarie; nomina di afro-americani negli alti ranghi della giustizia federale, in un sistema piagato dal razzismo; raddoppio dei parchi nazionali; finanziamenti alla ricerca sull’energia solare (primo presidente a parlare di cambi climatici e a montare pannelli solari alla Casa Bianca). Ovviamente ognuno di questi provvedimenti gli procurò acerrime inimicizie».

Vide già allora l’America di oggi

«Aleggiano attorno a noi i sintomi di una crisi dello spirito americano. Troppi di noi venerano il consumismo. Ci identifichiamo con ciò che possediamo e non con ciò che facciamo; ma accumulare beni materiali non può riempire il vuoto di una vita priva di scopo». Infine l’affondo: «Credevamo che la nostra fosse una nazione del voto, non delle pallottole (ballot, not bullet), finché non furono uccisi i fratelli Kennedy e Luther King. Ci avevano insegnato che i nostri eserciti erano invincibili e le nostre cause giuste, finché non subimmo l’agonia del Vietnam. La Presidenza era rispettata come una carica onorevole, finché non subimmo il trauma del Watergate».

Nel 1981, Carter sconfitto, si apriva con Reagan l’era del turbo-capitalismo, all’insegna di un ben altro mantra, rinnovato ora da Trump: «Il governo non è la soluzione, il governo è il problema».

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro