Siria in frantumi, primi scontri tribali contro il nuovo potere

Dopo la incredibile rivolta, capace di realizzare in una settimana tutto ciò che non era stato fatto in 13 anni, la Siria rischia di diventare come la Libia del dopo Gheddafi. Nella regione di Tartus, si sono verificati i primi violenti scontri, fra i miliziani vincenti di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ed elementi filogovernativi di obbedienza alawita.

Siria fatta a pezzi

Dopo i furti a mano armata di territorio da parte di Israele e di Turchia, con Usa e Russia che dove sono accasermati intendono rimanere, le storiche tribù etnuco religiose che assieme facevano la Siria nazione, si riprendono a difendono con le armi le terre dei loro padri contro quelle che vedono ora come tribù avversarie. Scontri di grossa portata, che in un caso hanno fatto 17 morti. Gli Assad, che col pugno di ferro hanno governato il Paese fino alla cacciata di Bashar, erano infatti alawiti, una minoranza islamica di stampo sciita, considerata eretica dai sunniti ‘normali’. Mentre per i fondamentalisti ex al-Qaida di HTS, gli alawiti vanno perseguitati. Anche perché si pensa che fossero i veri privilegiati del vecchio regime.

Frange del potere di Damasco

Così, non appena conquistato il potere, i jihadisti di HTS sono andati a caccia di alawiti, che rappresentano tra il 13 e il 15% del totale della popolazione siriana. Sotto torchio la regione di Tartus Latakia e Homs, con l’imposizione addirittura del coprifuoco. Tuttavia, il boccone siriano è troppo grosso per essere digerito da un gruppo di fondamentalisti islamici vittoriosi, ma pur sempre ‘localizzati’ in un ambito territoriale regionale. Insomma, HTS non ha la forza per imporsi su tutte le altre fazioni islamiche e le diverse componenti di un “melting pot” siriano molto diversificato, dove esistono anche i cristiani e una forte componente curda.

Primavera araba che divenne islamica

Prima della guerra civile, nel Paese, il 10% della popolazione era cristiano e relativamente libero di praticare il suo culto. Il regime di Assad non interferiva. I problemi grossi sono cominciati dopo la cosiddetta Primavera araba, con l’avanzata del fondamentalismo islamico. Cadere nelle mani dell’Isis significava essere decapitati, e avere a che fare con le filiali locali di al-Qaida era comunque un suicidio. Logico quindi che, adesso, la minoranza cristiana che ancora non è fuggita all’estero, si guardi intorno con circospezione. Una cosa sono i proclami effettuati da al-Julani, il leader politico di HTS, che promettono tolleranza (a parole) verso tutti. E un’altra i dati di fatto, che testimoniano l’esistenza di un’inevitabile atmosfera di “confronto” (tanto per usare un eufemismo) con le altre etnie e culture.

Albero di Natale in fiamme

Un disagio che è diventato allarme quando, nelle comunità cristiane siriane, ha cominciato a girare un video, che filmava un albero di Natale dato alle fiamme da miliziani irriducibili. Certo, non siamo ancora al tempo in cui le chiese venivano rase al suolo, per far posto alle moschee degli Omayyadi a Damasco, ma l’HTS è pur sempre un’organizzazione qualificata come “terrorista” da Stati Uniti ed Europa. E non è un caso se il Wall Street Journal così dipinge il quadro della situazione esistente sul campo, dopo la rivoluzione-flash, ribadendo alcuni concetti che erano già stati espressi, nell’immediatezza dei fatti, su Remocontro.

Wall Street Journal

«Le tensioni aumentano il rischio che la Siria possa entrare in un periodo di nuovo conflitto, mentre svaniscono le celebrazioni per la caduta del regime di Assad, ampiamente disprezzato. Il Paese è diviso lungo linee religiose ed etniche e ospita molti gruppi ribelli armati che non si concentrano più su un nemico comune. Mentre HTS controlla Damasco e altre grandi città, ampie zone della Siria sono fuori della sua portata e le potenze straniere stanno perseguendo i propri programmi sul territorio del Paese». In sostanza, secondo l’analisi del “Journal”, sembra chiara la volontà di alcuni attori specifici di utilizzare la Siria come “no men’s land”, per giocare una partita geopolitica più sofisticata, i cui reali obiettivi veramente poco hanno a che fare con la democrazia, la libertà o la stabilità della regione.

Terra di nessuno

In particolare, Stati Uniti, Turchia e Israele, ognuno per il proprio tornaconto, si sono messi rapidamente dietro le quinte, azzardando una mossa che, certamente, dà loro dividendi immediati. Rischiano, però, di avere regalato al mondo un’altra cronica area di crisi, molto difficile da pacificare nel lungo periodo. «Nel nord-est ricco di risorse che HTS non controlla – scrive il WSJ – si sono intensificati i combattimenti tra gruppi curdi e milizie sponsorizzate dalla Turchia». Ideologia? No, petrolio. A sud-ovest, invece, si sono mossi a modo loro gli israeliani. Impossessandosi della zona cuscinetto sull’altro versante del Golan e strappando i trattati sottoscritti nel 1974. Da lì ora ‘puntano’ la pianura, verso Quneitra.

E Biden? Beh, dopo aver contribuito a questo nuovo e clamoroso scossone mediorientale, lascerà sicuramente il cerino in mano a Trump. E si godrà lo spettacolo.

Tags: scontri Siria
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