Economia 2025, l’anno di Trump: cosa aspettarci

Fine degli oracoli e delle bussole economiche a buon mercato. La prudenza regna sovrana nelle redazioni delle principali testate economiche che, come da tradizione, sfornano le previsioni per il nuovo anno. Tutti d’accordo sull’arrivo di un 2025 dominato da caos e incertezza. Ma produzione, lavoro, investimenti e risparmio hanno ragione d’esistere solo se collegati ad un orizzonte, esigono una prospettiva. Abbiamo perciò provato anche noi a guardare da vicino ciò che ci aspetta, cercando come di consueto di far virtù dei nostri dubbi.

2025 nel segno di Donald Trump

Il primo punto di osservazione non richiede indovini perché l’anno inizierà nel segno dell’economia di Donald Trump. Che risultati produrrà il pugno duro dei dazi sull’economia usa e su quella internazionale? innanzitutto l’apertura di grandi trattative, nel più classico dei modi del mondo degli affari da dove proviene il neo presidente Usa: partire da 100 per ottenere 50. la contropartita per il mercato interno sarà fatta di meno regole per le imprese e tagli fiscali, sempre per le imprese. Un modello tutto americano, che farà della deregulation la sponda alle ricette economiche del sovranismo europeo. Semplificare è cosa buona e giusta, se non fosse che questa riedizione ultra-liberista del  ‘laissez faire’ rischia di produrre un assalto alla diligenza da parte degli interessi privati a discapito di quelli pubblici. Il fattore Musk e la nascita delle oligarchie economiche indicano la strada.

Le oligarchie e la recessione economica

I fondamentali dell’economia insistono sulla teoria che i dazi rischiano di aumentare i prezzi per chi li applica e che l’euforia delle borse spesso si trasforma in bolla finanziaria. Le lune di miele non durano a lungo e le Cassandre si fanno sentire anche da bloomberg “i dazi sono un’inutile provocazione che rischia di ritorcersi contro”. Mentre il Financial Times spinge la previsione oltre il 2025 e dichiara che “la recessione sicuramente arriverà ad un certo punto durante la presidenza di Donald Trump”. Mai dimenticare che il governo americano sta ora gestendo un deficit del 6,4%, il più alto nella storia del dopoguerra.

Secondo pronostico, Cina con vista su Berlino

La Cina è materia del secondo pronostico perché  la ‘fabbrica del mondo’ non può fermarsi. La globalizzazione frammentata e senza organismi multilaterali si espone al diffondersi di un commercio ombra con regole proprie e senza alcuna giurisdizione. La cina ha imparato che gli affari con i russi in tempi di guerra funzionano così. Le ambizioni imperiali richiedono invece un ordine e delle regole. L’organizzazione mondiale del commercio (wto) sta imbarcando acqua e la Cina deve trovare nuovi grandi accordi globali. il progetto di allargamento dei Brics, che tanta attenzione ha ricevuto nel corso dell’anno, non potrà che continuare a svilupparsi anche nel 2025. Per accellerare occorre però un riassetto degli equilibri geopolitici. Il caos attuale lascia pochi margini a rapidi sviluppi, ma la Cina navigherà in quella direzione. Da subito è prevedibile per Pechino un intensificarsi di negoziati commerciali bilaterali, anche in Europa e con vista su Berlino.

L’intelligenza artificiale Usa e Cina

l’intelligenza artificiale rimarrà protagonista anche nel nuovo anno, ma, come avverte The Economist, “diamoci una calmata, perché il modo di produrre non cambierà subito quest’anno”. La partita sull’introduzione della IA nei settori industriale, militare e dei servizi sarà solo tra Usa e Cina. Per competere in questo campo occorrono molti soldi, molti talenti, forti sistemi educativi e una volontà di predominio che solo Stati Uniti e Cina hanno. Nel settore chiave dei microprocessori gli Usa hanno un vantaggio di dieci anni sui cinesi e questo li manterrà saldamente al comando anche per l’anno prossimo.

I conti in tasca nostra per l’inflazione

Previsione d’obbligo per l’inflazione, ovvero per i prezzi e le nostre tasche.  I banchieri centrali sono riusciti nell’atterraggio durante il 2024. “L’inflazione è pari o vicina al 2% in tutto il mondo ricco e, a meno di guerre commerciali o altri shock, i tassi sono previsti in discesa per tutto il 2025” scrive The Economist.

Senza l’onere di infondere fiducia ai mercati che ha il giornale inglese (edito da famiglie Agnelli 47% e Rotschild 27%), noi ci soffermiamo  su quell’ammonimento “a meno di guerre commerciali”. Perché la guerra commerciale è già in corso e le conseguenze inflattive potranno farsi sentire sia in occidente che in Asia. Il corso dell’inflazione rimane quindi motivo di rischio, avverte Bloomberg perché “gli economisti sbagliano molto, ma non sui dazi”.
E in tutto ciò, l’economia dell’Unione Europea reggerà l’urto del cambiamento in corso?
Senza eurobond, addio alla crescita e senza debito comune, tutti in ordine sparso. C’è un elefante nella stanza, si chiama debito pubblico e qui più che una previsione, sono richiesti miracoli.

 

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