Sanzioni autonome di Estonia, Lettonia e Lituania che dovrebbero condividere la loro politica estera con l’Unione Europea. Tra le persone sanzionate figura l’oligarca Bidzina Ivanishvili, vero deus ex machina del partito ‘Sogno Georgiano’, un tempo tecnocratico liberista e adesso sovranista alla luce della guerra in Ucraina, che sembra consigliare alla leadership di Tbilisi più cautela con Putin, insieme ad altre dieci figure di spicco, tra cui il ministro dell’Interno Vakhtang Gomelauri e i suoi vice. A tutti loro è vietato ora l’ingresso nei tre Paesi baltici, segno di un deterioramento delle relazioni tra alcune nazioni post-sovietiche. I sanzionati se la ridono ma giocano facile a chiamare in causa una disattenta Ursula von der Leyen con tante grane più grosse de pelare.
Le sanzioni baltiche sono state adottate come risposta alla loro “partecipazione a gravi violazioni dei diritti umani attraverso la repressione violenta di proteste legittime in Georgia”, si legge nel comunicato ufficiale. Il ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna, ha dichiarato: “Il popolo georgiano ha il diritto di difendere i propri diritti. Il partito al governo mente sistematicamente da tempo e i cittadini devono poter esprimere il proprio dissenso attraverso le proteste. La violenza contro i manifestanti è sproporzionata e contraria ai diritti umani”.
Le proteste in Georgia contro il governo e a favore dell’adesione all’UE continuano per la quinta notte consecutiva, con scontri violenti tra manifestanti e polizia, soprattutto a Tbilisi. Sono esplose dopo che il primo ministro Irakli Kobakhidze ha annunciato, il 28 novembre, la sospensione del processo di adesione della Georgia all’UE fino al 2028. Il premier Kobakhidze ha definito “inaccettabile” considerare l’integrazione europea come un atto di generosità e ha dichiarato che il Paese riprenderà il suo percorso nel 2028 “con dignità, senza dover implorare”, precisa Paolo Mossetti su InsideOver.
Le manifestazioni non sono guidate dall’opposizione ufficiale, risultata deludente alle elezioni, ma per lo più da giovani attivisti. «Se Tbilisi è il cuore pulsante del dissenso antigovernativo, gli scontri si sono diffusi in tutto il Paese, anche in diversi centri sotto i diecimila abitanti di solito piuttosto depoliticizzati, segno che questa volta si fa sul serio». Ma anche il governo lo fa, ribadendo che Tblisi non è e non sarà un’altra ‘piazza Maidan’
Per quattro notti consecutive, la polizia antisommossa ha disperso i manifestanti con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Molti giornalisti hanno denunciato aggressioni e danneggiamenti delle loro attrezzature da parte delle forze dell’ordine. Decine di manifestanti sono stati brutalmente picchiati e oltre 200 persone sarebbero state arrestate. Molti arrestati non sono stati trattati molto bene e denunciano violenze e ‘trattamenti disumani’.
Sullo sfondo si staglia una grave crisi istituzionale, con dimissioni tra le élite e crescenti defezioni di ambasciatori e figure economiche di rilievo. È la Georgia che fa in conti con se stessa e rischia di disgregarsi. Il governo che appare sempre più indebolito, mentre il paese si trova schiacciato tra molteplici pressioni, con la parte più massimalista dell’Ue, dall’estremo nord europeo che ha già delegittimato il voto nel Caucaso e chiede la ripetizione delle elezioni. Forzature politiche anti russe quasi trasparenti.
La decisione di Kobakhidze di sospendere la candidatura della Georgia all’UE, non è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Bruxelles aveva già dichiarato che il processo di adesione era stato bloccato a causa dei “passi indietro” compiuti dal Paese in ambito democratico. Le principali tensioni riguardano l’adozione, lo scorso maggio, di una controversa legge sugli “agenti stranieri” considerata dai critici europeisti uno strumento per reprimere la società civile, modellato sull’esempio russo, e secondo i difensori un modo per impedire che le ong con capitale a maggioranza straniero diventino un elemento di destabilizzazione – uno Stato nello Stato. Tensioni che sono poi esplose alle ultime elezioni parlamentari recenti, che hanno visto tensioni ma non brogli tali da indurre l’Osce a dichiararle falsificate.
Quando Kobakhidze ha annunciato la sospensione della candidatura, il presidente russo Vladimir Putin si è detto sorpreso dal coraggio delle autorità georgiane nel difendere la loro posizione sulla legge sugli agenti stranieri. In parallelo, il 30 novembre, il governo statunitense ha deciso di sospendere il partenariato strategico con la Georgia, accusando il partito al potere ‘Georgian Dream’ di “azioni antidemocratiche”. Le storiche tifoserie contrapposte che segnano da sempre la politica di quel Paese su confini strategici che non lo aiutano.
Altri invece sono i toni di altri Paesi fondatori dell’Ue come l’Italia o la Francia, che pur condannando l’uso della violenza contro i manifestanti si sono ben guardati da invocare sanzioni o di dichiarare illegittime le elezioni. Coscienti del fatto che l’importante sostegno del governo georgiano tra molti cittadini della Georgia può essere attribuito, in parte, alla paura di un confronto con la Russia, ma anche al risentimento nei confronti di un’arrogante imposizione da parte dell’Occidente, in particolare dell’Unione Europea, che spesso non tiene conto degli interessi nazionali o delle tradizioni georgiane. Questo sentimento non è isolato alla Georgia, ma è condiviso anche da molti cittadini dell’UE.
Anche la nuova responsabile della politica estera dell’UE, Kaja Kallas, ha criticato la situazione, avvertendo che il regresso democratico della Georgia “avrà conseguenze dirette” nei rapporti con l’Unione Europea. Tuttavia, nel suo primo comunicato in funzione di Alto rappresentante degli Esteri europeo, Kallas è più moderata di quanto ci si poteva aspettare, considerato il suo ‘antirussismo’: nel testo si parla di “irregolarità” avvenute durante il voto, ma non si menzionano le sanzioni. Anche il comunicato di Ursula Von Der Leyen, secondo fragile mandato: si dice che il futuro europeo della Georgia è nelle mani del governo, della “leadership”, anziché della piazza.
Forse la Commissione intuisce che l’opposizione georgiana sia meno popolare e rappresentativa delle immagini che passano sui social, e sa di non avere la forza per gestire una nuova crisi alle sue porte. O forse semplicemente, l’europeismo reale, a differenza di quello massimalista su X di Musk, evita di soffiare sul fuoco.