‘Guerra’, singolare femminile contro le donne

Pochi giorni fa, il 25 novembre, la ‘Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne’, quasi a distrarci dalla cronaca quotidiana delle violenze delle guerre in corso, la più note e quelle seminascoste ma crudelmente reali. Senza pensare, in molti, che proprio nelle guerre sono ancora una volta le donne, tra i civili vittime, a pagare il prezzo più alto nella esaltazione retorica che trasforma l’assassinio organizzato in eroismo e lo stupro e le violenze in conseguenze giustificate. Oggi, le guerre e le donne

«Deve dunque evitare la guerra chi è assennato» (Euripide)

Venticinque secoli orsono, nella primavera del 415 a.C. ad Atene fu rappresentata per la prima volta la tragedia ‘Le troiane’ del drammaturgo greco Euripide. La vicenda narrata descrive la sorte subita dalle donne di Troia al momento della caduta della città, conquistata dai Greci dopo un assedio durato dieci anni. A nessuna donna fu risparmiata la schiavitù, ovvero la condizione servile come era abitualmente imposta a tutti gli sconfitti, ma alcune soffrirono mali ancora peggiori: Cassandra, figlia del re Priamo sconfitto e che aveva previsto la tragica fine, impazzì ed Andromaca assistè alla morte del figlio scagliato giù dalle mura per volontà di Ulisse per finire infine schiava del violento Neottolemo.
Interessante osservare che pochi sono i protagonisti maschili sulla scena, dominata dai lamenti delle donne, mentre ad essi sono attribuite solo arroganza e vanagloria. Non stupisce quindi che per secoli fino ai nostri giorni le immagini di questa tragedia abbiano finito per rappresentare l’orrore della violenza bellica sulla popolazione civile – soprattutto sulle donne – e l’opera sia stata spesso messa in scena in momenti di crisi per richiamare l’attenzione sugli orrori della guerra, un monito già lanciato da Euripide nel lontano V secolo a.C.
All’epoca infatti, mentre era in corso la guerra del Peloponneso, gli Ateniesi avevano da poco massacrato gli isolani di Melo che non volevano allearsi con la città e stavano per intraprendere la fatale spedizione in Sicilia che avrebbe condotto alla rovina della città.

Deportazioni e pulizie etniche

La pratica della messa in schiavitù degli sconfitti e soprattutto delle donne continuò nel mondo romano che attuò vere e proprie deportazioni di massa: ai trionfali cortei del vincitore che si snodavano a Roma, seguiva immancabilmente una quantità di donne e bambini in catene.
Se nel Medioevo queste immagini divennero più rare, questo non avvenne perché si era abbandonata la prassi o per l’effetto mitigatore del cristianesimo, ma perché i conflitti furono più frammentati e condotti su scala più limitata: durante la guerra dei Trent’Anni, dopo la conquista della città di Magdeburgo nel maggio 1631, i vincitori si abbandonarono a violenze di ogni tipo, dal saccheggio agli stupri provocando la morte di circa venticinquemila abitanti su trentamila sopravvissuti all’assedio.
La colonizzazione delle Americhe aprì nuovi capitoli di violenza alla quale si aggiunse la pulizia etnica, ovvero l’eliminazione sistematica delle popolazioni locali e la conversione forzata.

Gli orrori del Novecento

Sebbene anche nell’Europa civilizzata non siano mancati sporadici episodi di violenza nei confronti delle donne nelle guerre del Novecento, le pagine peggiori furono scritte probabilmente in Asia soprattutto durante l’occupazione giapponese della Cina, delle Filippine e dell’Indonesia. L’episodio più tristemente noto fu lo stupro di Nanchino che si protrasse per sei settimane, dal dicembre 1937 al febbraio 1938: le truppe giapponesi si abbandorono infatti al saccheggio e agli omicidi di massa, ma anche allo strupro sistematico della popolazione civile. Oltre alla morte di duecentomila cinesi, si aggiunsero almeno cinquantamila stupri.
Un altro aspetto particolarmente ripugnante nel comportamento degli occupanti fu l’internamento di decine di miglia di donne in maggioranza coreane in strutture in cui era praticata la prostituzione forzata. Sebbene le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Protocolli aggiuntivi del 1977 avessero bollato d’infamia queste pratiche, esse ricomparvero purtroppo nei conflitti del decennio balcanico e nei massacri ruandesi.
In particolare nel campo di prgionia di Foca, con la comlipicità del comandante, alle unità ‘a riposo’ era concesso di accedere al campo. La prima sentenza della corte internazionale pronunciata nei confronti del responsabile fu molto severa, ma nel giudizio d’appello furono riconosciute delle attenuanti: uno dei tanti casi in cui, nonostante i propositi, la giustizia internazionale fu oggetto di critiche acutissime.

 

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