Non dobbiamo dimenticare che Angela Merkel ha passato metà della sua vita nell’ex Germania comunista. Per quanto ostile al regime, senza essere mai stata in aperta opposizione, ha assorbito un certo modo di approcciarsi ai fatti, un certo modo di esprimersi, un certo riserbo. Buona parte dell’autobiografia ripercorre la sua vita nella ex Ddr, e la lunga esperienza alla Cancelleria. A settant’anni compiuti, racconta di avere vissuto due vite a metà, 35 anni nel mondo comunista e 35 nel mondo libero, concludendo che le due cose non si possono separare.
Prendiamo uno dei capitoli più controversi e spinosi, la genesi della guerra in Ucraina e la presunta arrendevolezza della cancelliera nei riguardi di Vladimir Putin. Pur essendo noto che i due si conoscono da molto tempo e che possono parlarsi in entrambe le lingue di origine (Putin era in servizio a Dresda come ufficiale, la Merkel era obbligata a studiare il russo, ma «lui parla il tedesco meglio di quanto io parli russo»), la cancelliera fece a suo tempo una valutazione prudente e circostanziata del quadro geopolitico in relazione alle tensioni che stavano esplodendo in Ucraina. Una valutazione che teneva conto del contesto generale europeo e che – a suo avviso – sconsigliava un allargamento prematuro della Nato percepito dal Cremlino come una minaccia. Già due anni fa, rompendo il silenzio che si era imposta, appunto per scrivere le memorie e non disturbare il nuovo corso politico in Germania, si era espressa sull’argomento in una lunga intervista a Die Zeit.
La ex Cancelliera non ci stava a passare per l’ostaggio di Putin o peggio per un’ingenua visionaria che non avesse percepito il pericolo, secondo un’ingenerosa narrazione che circola nel mondo politico tedesco e fra osservatori internazionali. La Merkel diede una lettura degli accordi di Minsk del 2014 che avrebbero dovuto avviare un processo di pace e che invece servirono a preparare la guerra, dando tempo all’Ucraina di armarsi e difendersi.
«Gli accordi di Minsk sono serviti a dare tempo all’Ucraina. (…) Tempo che ha usato per rafforzarsi, come possiamo vedere oggi. L’Ucraina del 2014-2015 non era l’Ucraina di oggi. Come abbiamo visto all’inizio del 2015 durante i combattimenti intorno a Debaltsevo (una città del Donbass, Oblast’ di Donetsk, ndr), Putin avrebbe potuto vincere facilmente. E dubito fortemente che all’epoca la Nato sarebbe stata in grado di aiutare l’Ucraina come lo è oggi… Era ovvio per tutti noi che il conflitto sarebbe stato congelato, che il problema non era risolto, ma questo ha solo dato tempo prezioso all’Ucraina». «Sono giunta alla conclusione che le mie decisioni di allora furono un tentativo di prevenire proprio una guerra di questo tipo. Il fatto che non abbia avuto successo non significa che i tentativi fossero sbagliati».
Merkel rievoca in molte pagine il vertice Nato di Bucarest del 2008, durante il quale Francia e Germania si sono opposte agli Stati Uniti rifiutando di consentire all’Ucraina e alla Georgia di compiere passi per entrare nell’Alleanza Atlantica. «La Russia e il suo potente arsenale nucleare esistevano. Non poteva e non può essere cancellata dalle considerazioni geopolitiche», scrive l’autrice. Raccontando con dovizia di particolari i negoziati svoltisi nel novembre 2013 tra i leader europei e il presidente ucraino Viktor Yanukovych, costretto da Putin a scegliere tra l’Unione Europea e la Russia, l’autrice osserva che Yanukovych «trasudava paura». Riflettendo sulla rivolta ucraina, sull’invasione della Crimea da parte della Russia e sul fallimento dei negoziati di Minsk tra Russia, Ucraina, Francia e Germania, Merkel ha osservato che nel 2016 «un soffio di guerra fredda ci stava avvolgendo ancora una volta».
La Merkel difende anche la decisione di realizzare il gasdotto Nord Stream, un altro argomento di critica per l’eccessiva dipendenza energetica dalla Russia, con conseguenze oggi tangibili sull’economia del Paese: «A mio avviso, un blocco del gasdotto combinato con gli accordi di Minsk avrebbe peggiorato pericolosamente il clima con la Russia. Oggi le persone sono molto veloci nel giudicare le decisioni politiche del passato senza ricordare il contesto ed esaminare criticamente le alternative». Nell’autobiografia, l’ex cancelliera dice chiaramente che gli Usa temevano l’eccessiva dipendenza energetica della Germania dalla Russia, ma in realtà «stavano sfruttando la loro superiorità economica e finanziaria per bloccare i progetti in altri Paesi, compresi Paesi amici. Tenevamo soprattutto ai loro interessi e volevano trasportare in Europa il loro gas liquefatto». È questo uno dei passaggi più interessanti.
Per il resto, chi cerca rivelazioni sconvolgenti, frasi assassine o perfidi regolamenti di conti rimarrà deluso. Alla fine, Angela Merkel dà un resoconto fedele dei fatti, come uno sherpa al servizio di sé stessa. Appunti, date, dichiarazioni, telefonate, ma pochissime analisi circostanziate. Ai rapporti con l’Italia e gli italiani dedica poche righe. Una citazione a testa per Prodi, Draghi e Conte. Poche righe per Renzi, a proposito della questione migranti, quando concorda con l’ex presidente del consiglio che «L’Italia non deve essere lasciata sola». Tre citazioni per Berlusconi, ma nessun accenno alla presunta pressione per favorire la caduta del governo italiano. L’ex presidente Napolitano, con il quale la Merkel avrebbe avuto un colloquio sull’argomento, non è nemmeno citato.
C’è qualche accenno di autocritica a proposito dell’intervento americano in Iraq, che lei appoggiò contro la posizione dell’allora cancelliere Schröder, contrario alla guerra. Per il resto difende scelte strategiche che hanno segnato i suoi quattro mandati alla guida della Germania. Oggi che il Paese attraversa una crisi profonda, ammette che il freno al debito non deve essere un tabù inciso nella pietra, ma che occorre «assumere più debito per investire per il futuro».
Vladimir Putin è il nome che ricorre più spesso in questi capitoli, ma episodi e retroscena citati erano conosciuti da tempo. Fra questi, il dispetto di Putin che si presenta a un colloquio con il suo grande cane Labrador, pur sapendo che l’ex Cancelliera ha paura dei cani. Nell’aprile 2006, Angela Merkel racconta un’osservazione di Putin nel corso di una visita in Siberia. Putin le disse che i poveri di questa regione potevano essere comprati come gli ucraini che ricevevano dollari dagli americani per fare la rivoluzione filo occidentale. «Nella Repubblica Democratica Tedesca (La Ddr, ndr) non sono stati i soldi americani a spingerci a fare una rivoluzione pacifica, siamo stati noi, ho obiettato, a volerla e a cambiare la nostra vita in meglio. È esattamente quello che volevano gli ucraini».
Un anno dopo, Putin le spiegò che il crollo dell’Urss era, ai suoi occhi, la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. La Merkel replicò che «la più grande catastrofe del XX secolo è stato il nazionalsocialismo in Germania, mentre la fine della Guerra Fredda ha cambiato e migliorato la vita senza riserve».
Come anticipato da diversi giornali, la Merkel dà un giudizio molto negativo del presidente Donald Trump: «Sono uscita dai nostri colloqui convinta che con Trump non ci sarebbe stata cooperazione in un mondo interconnesso. Egli giudicava tutto dal punto di vista dell’immobiliarista che era stato prima di entrare in politica. C’è sempre un solo proprietario. Quello che non otteneva lui, lo otteneva qualcun altro. È così che vedeva il mondo. Per lui tutti i Paesi erano in competizione e il successo di uno significava il fallimento di un altro», scrive Merkel, che ha completato il suo manoscritto poco prima delle elezioni americane del 5 novembre, per le quali ha «augurato con tutto il cuore che Kamala Harris (…) vincesse».
Sulla crisi dell’euro, rievoca i drammatici momenti in cui si è sentita sola contro tutti, nel difendere l’indipendenza della Bce e la posizione della Germania sul debito degli Stati, che di fatto bloccava il salvataggio della Grecia. Ma anche in uno dei più drammatici momenti della recente storia europea nessuna autocritica. Alla fine, la Grecia si è salvata con lacrime e sangue. E questo basta. Salvo non considerare che da allora l’euroscetticismo, i nazionalismi, il populismo di estrema destra e di estrema sinistra sono cresciuti in ogni angolo del Vecchio Continente.