Banche, affari italiani e debolezze europee

L’offerta di acquisto di Unicredit su Bpm non è solo un affare italiano, ma un altro segnale di debolezza dell’Unione Europea. Osservatori al capezzale del ‘Piano Draghi’, non nascondono che il pilastro che lo dovrebbe sorreggere è sempre più fragile: rafforzare l’unione finanziaria tra le aziende dei 27 Ue per non soccombere alla concorrenza di Usa e Cina, dice Draghi. Un modo per favorire le concentrazioni di potere tra i grandi gruppi dell’industria e della finanza, l’accusa dei suoi detrattori.

Balletto della politica sul palco della finanza?

Unione finanziaria aziende Ue, anti Usa e Cina. In un Europa unita, anche il credito dovrebbe rientrare in un mercato degli europei per gli europei, concorrenziale e con maggiori vantaggi dei sistemi locali. E rispetto aslla concorrenza internazionale.  Difficile per i cittadini prevedere che la nascita di nuove grandi banche europee possa garantire tutto ciò, ed è plausibile preoccuparsi che le fusioni possano aumentare il potere di alzare costi e commissioni. L’alternativa, però, è di continuare ad assistere al balletto della politica sul palco della finanza.

Tutto dalla Germania in crisi

Tutto inizia in Germania dove lo scorso settembre Unicredit ha lanciato un’offerta di acquisto per Commerzbank, con la prospettiva di creare un forte polo bancario europeo. Lo Stato tedesco, azionista della banca in questione con il 12%, ha considerato l’offerta come ostile da parte di un’azienda straniera. Unicredit è quindi ricorsa a manovre tecniche sul mercato aperto, non quindi a un accordo, per garantirsi il 20% di Commerzbank, ma l’operazione si è poi congelata verso incerti risultati.

Ora Unicredit vuole la terza banca italiana

Ora Unicredit si offre di acquistare il Banco Popolare di Milano (Bpm), terza banca italiana che vale 10 miliardi di euro. Ma il governo italiano reagisce in modo simile a quello tedesco. Il ministro delle Finanze minaccia l’uso del ‘golden power’,  che è l’ insieme di norme che bloccano le acquisizioni di aziende italiane da parte di quelle straniere. E scopriamo che Salvini, tra le sue tante/troppe creatività, sostiene che Unicredit è una banca straniera. Qualcuno lo spieghi a Scholz che invece la considera una banca italiana e cui non vendere la Commerzbank. E qualcuni provi a spiegare il contrario a Salvini, per quel po’ di azioni ‘Unic’ in moani statunitensi, anche se più difficile.

Banche terra di conquista della politica

In realtà, le banche sono da sempre terra di conquista della politica. Dal lontano “ abbiamo una banca di sinistra” (2005, una telefonata tra Fassino e i Consorte, Unipol, sulla scalata alla BNL), al “terzo polo” dell’attuale destra”. E poiché banca significa territorio, se questo si estende oltre la propria giurisdizione è evidente che se ne riduce, e di molto, le capacità d’influenza. Da qui le reazioni insensate di politici che confondono banche italiane e straniere.

Per la cronaca, Unicredit è una ‘public company’, cioè non ha un azionista di maggioranza. E ha sede in Italia, a Milano. Sarebbe interessante osservare le reazioni se domani Unicredit spostasse la sede a Berlino o Londra o Parigi.

Prepotenze politiche d’interesse

L’impressione è che in Italia, come in Germania, ci sia da difendere un progetto di salvaguardia del potere della politica. Nel caso italiano è la creazione di un polo bancario (terzo perché dietro a Intesa e Unicredit) formato da Mps e Bpm che ha evidentemente maggiori attrazioni politico governative.  In Germania, il governo Scholz “protegge” Commerzbank da influenze straniere-italiane con l’obbiettivo di presentarsi alle elezioni anticipate con un risultato concreto nella difesa degli interessi nazionali, tema centrale della prossima partita elettorale tedesca.

‘Legittimi sospetti’, anzi dovuti

E’ lecito quindi sospettare che dietro a queste levate di scudi della politica ad operazioni di mercato, ci sia la volontà di evitare ogni cambiamento che potrebbe ridurre la propria sfera d’influenza. Inoltre, dopo la crisi del 2008 e per oltre un decennio non ci sono state grandi operazioni bancarie. Ma l’aumento inflazione e dei tassi della Bce ha prodotto utili altissimmi per cui ora le grandi banche possono adottare strategie di crescita mediante acquisizioni. Un’occasione anche per i governi. Non per tassare gli extraprofitti, ma per assumere il ruolo di protagonisti, a prescindere da progetti che possano aumentare i servizi o riducano i costi per la clientela.

In Europa si procede in ordine sparso. L’euro è sceso al livello più basso rispetto al dollaro in quasi due anni. Sta arrivando Trump con i suoi banchieri e l’Europa della finanza esibisce un classe politica non all’altezza dell’Unione di cui avremmo bisogno.

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