Alle proteste stanno partecipando migliaia di persone, ma solo alcune centinaia di loro sono riuscite a superare lo sbarramento delle forze dell’ordine e raggiungere la piazza D-Chowk, obiettivo della manifestazione dei sostenitori di Khan. La piazza è tipicamente il luogo delle principali manifestazioni politiche in Pakistan, e si trova nella cosiddetta “zona rossa” di Islamabad, dove hanno sede tra l’altro il parlamento e la Corte suprema.
Imran Khan è stato arrestato più di un anno fa, per decine di capi di accusa che i suoi sostenitori ritengono motivati politicamente. È stato lui a convocare la manifestazione, che ha come principale ma non unica richiesta la sua scarcerazione. Domenica i sostenitori di Khan e del suo partito (il Movimento per la Giustizia, PTI) hanno formato grandi convogli, partendo principalmente dal Punjab (nel centro-est) e dalla provincia del Khyber Pakhtunkhwa (nel nord-ovest) verso Islamabad.
Prima della protesta di ieri la polizia aveva già arrestato più di 4mila persone in tutto il Pakistan e le autorità avevano disposto la sospensione della connessione internet e del segnale telefonico in diverse aree del paese, servizi già molto rallentati dalle misure di sicurezza del governo. Anche per oggi le autorità hanno vietato le manifestazioni pubbliche nella capitale e ordinato la chiusura delle scuole. Tra l’altro ieri, mentre erano in corso gli scontri, era in corso una visita di tre giorni del presidente bielorusso Alexander Lukashenko.
La leader delle proteste è Bushra Bibi, la moglie di Khan, che ha fatto un comizio a Peshawar, la capitale del Khyber Pakhtunkhwa, dove governa il PTI, il partito dei Khan. Martedì Bibi ha detto che i manifestanti non se ne andranno finché non verrà scarcerato Khan. In serata l’ex primo ministro ha diffuso sui social un comunicato in cui chiede ai suoi sostenitori di restare uniti e pacifici e li esorta a continuare a manifestare. Ma il problema non è solo il carcere dell’ex premier, ma le misure antidemocratiche e autoritarie decise dal nuovo governo filo occidentale.
Oltre alla liberazione di Khan, i suoi sostenitori chiedono la revoca di un emendamento costituzionale che ha sottoposto i giudici della Corte suprema alla nomina del parlamento riducendone i poteri. Contestano inoltre la coalizione di sei micro partiti uniti solo della scelta di escludere il partito di maggioranza che ha formato un governo dopo le elezioni di febbraio, vinte dal PTI che però non aveva i numeri per avere la maggioranza in parlamento da solo.