È il tremendo paradosso del nostro tempo. La politica russa si fa più aggressiva verso i vicini dell’Est e s’intensificano i bombardamenti sulla martoriata Ucraina. Ma nel contempo sembrano attenuarsi le aspirazioni dei popoli dell’Europa orientale a far parte della Ue e ancor più della Nato. Le recenti elezioni in Moldavia e Georgia – al netto dei brogli denunciati dalle opposizioni – e il crescente nazionalismo in Ungheria e Slovacchia, sembrano confermare la tendenza. E domenica si è registrato un terremoto politico in Romania – Paese membro della Nato e della Ue – con la vittoria del candidato filo russo Calvin Georgescu al primo turno delle elezioni presidenziali. Dati che si sommano al crescente malcontento in Ucraina nei confronti del presidente Zelensky, con l’ormai evidente e disperante stanchezza per l’andamento della guerra.
Può essere che si tratti di un momentaneo sbandamento dell’opinione pubblica di questi Paesi o che questa inversione di tendenza sia incentivata da una capillare propaganda del Cremlino che ha appoggiato con ogni mezzo candidati, partiti e giornali filorussi. Può anche darsi che l’Ue, e in subordine la Nato, a furia di promesse vaghe e scadenze imprecise abbiano finito per attenuare aspettative e speranze. La crisi economica e il bisogno di sicurezza con la guerra alle porte di casa hanno fatto il resto. E aggiungiamo l’effetto Trump. L’alta probabilità di un accordo con Putin sull’Ucraina può essere letta come una normalizzazione dei rapporti o come una minaccia, a seconda degli interessi in gioco e delle oligarchie dominanti. Difficile trarre conclusioni affrettate.
Intanto l’ultimo sviluppo, la vittoria al primo turno di un outsider, un illustre sconosciuto, un ambizioso nazionalista, euroscettico e filo russo, con espressioni pubbliche di sincera ammirazione per Vladimir Putin. (https://www.remocontro.it/2024/11/26/anti-nato-e-filo-putin-possibile-presidente-rumeno/). Calin Georgescu ha ottenuto il 22,9% dei voti, il 19% della candidata di centro-destra Elena Lasconi, 400 voti in meno il primo ministro socialdemocratico pro-europeo, Marcel Ciolacu e il nazionalista George Simion, grande fan di Donald Trump, considerato uno dei favoriti. Di fatto, un terzo dei voti vanno a candidati di destra e di estrema destra. Un terremoto in questo Paese membro dell’Ue e della Nato. Georgescu è cresciuto negli ultimi giorni con una campagna TikTok diventata virale, incentrata sulla necessità di fermare gli aiuti all’Ucraina. «Il popolo rumeno ha gridato per la pace».
«Le elezioni presidenziali in Romania sono state sconvolte da un nazionalista che esprime ammirazione per il presidente russo Vladimir Putin, aprendo la strada a un ballottaggio con un candidato dell’establishment, uno dei più grandi sconvolgimenti nel Paese dalla fine del comunismo», è il commento di Bloomberg. Il risultato «sorprendentemente alto» di Georgescu «equivale a un terremoto politico in Romania, un membro della Nato che ha sostenuto l’Ucraina e ha contribuito ad armare Kiev, in particolare con i sistemi di difesa missilistica Patriot, dall’invasione su larga scala della Russia nel 2022».
Figura relativamente sconosciuta che ha ricoperto diversi incarichi nel ministero dell’Ambiente romeno negli anni ’90, Georgescu, 62 anni, era assente dai media tradizionali e ha fatto molto affidamento sulle piattaforme. Si è imposto con un discorso antieuropeo e nazionalista, ostile alla presenza di aziende straniere nel Paese che sfruttano le risorse rumene. Un argomento a suo tempo caro al dittatore comunista Nicolae Ceausescu. Georgescu in uno dei suoi discorsi ha anche giurato di porre fine a quella che definisce «sudditanza» nei confronti dell’Ue e della Nato, in particolare per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina. Due anni fa, come ricorda Politico, aveva affermato che «lo scudo di difesa missilistico americano situato nel villaggio di Deveselu, nel sud della Romania, è una scelta di confronto e non una misura pacifica». All’epoca dichiarò di «non ricevere alcun sostegno dalla Russia, ma di sentirsi vicino alla sua cultura e descrisse il presidente russo come “un uomo che ama il suo Paese”».
In Romania il potere esecutivo è nelle mani del primo ministro, ma il presidente ha ampie competenze per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza nazionale, oltre alla nomina dei ministri. Il Paese tiene il fiato sospeso, in vista del secondo turno delle elezioni presidenziali, l’8 dicembre, una settimana dopo le elezioni parlamentari del 1° dicembre. La Romania non è uno snodo ininfluente nello scenario della guerra in Ucraina. Quasi la metà di tutto il grano ucraino passa attraverso il Paese. Il porto di Costanza è il principale punto di ingresso e di uscita sul Mar Nero per le merci destinate all’Europa e all’Africa. È il terminale di una rotta commerciale che serve l’Europa attraverso un altro canale, quello che collega il Danubio al Meno e poi al Reno.
Membro della Nato dal 2004 e dell’Unione europea dal 2007, la Romania è insomma in prima linea. Condivide più di 600 chilometri di confine con l’Ucraina, un confine da cui transitano ogni giorno decine di giovani ucraini che non vogliono combattere. La Crimea e Sebastopoli, sede della flotta russa sul Mar Nero, distano meno di 400 chilometri da Costanza. Batterie di missili americani Patriot sono in servizio in Romania e altre sono in fase di installazione.
Le autorità romene si sono impegnate a destinare il 2,5% del Pil alle spese militari e hanno acquistato dalla Norvegia dei caccia F-16 per sostituire una flotta di MiG-21 sovietici ormai obsoleti. Non solo: la Romania ospita un centro di addestramento per i piloti ucraini. Costanza è diventata una base importante per le operazioni americane intorno al Mar Nero. Insieme alla presenza della Nato in Turchia, le basi romene consentono all’alleanza occidentale di affermare la propria superiorità sul Mar Nero occidentale e meridionale. Inoltre, consentono di tenere d’occhio la Moldavia. La Francia schiera qui carri armati Leclerc e più di mille soldati nella base in Transilvania.