Dal febbraio 2022, la politica estera europea è stata definita di fatto a Washington. Narrazione americana, incentrata su una vittoria totale di Kiev sulla Russia del nemico assoluto Putin, che ha annullato ogni possibilità di negoziato. E leader come Emmanuel Macron, che in passato avevano invocato un’autonomia strategica per il continente, che si sono piegati a una linea bellicista, temendo l’isolamento politico nella Nato diventata entità europea dominante. Subordinazione a perdere clamorosa sul fronte sanzioni, ignorando i rischi di ritorsioni e il peso delle interdipendenze economiche.
Nel 2021, il commercio UE-Russia valeva oltre 260 miliardi di euro: la brusca interruzione ha colpito duramente settori chiave, dal manifatturiero all’agroalimentare, mentre Mosca ha trovato nuovi partner, come Cina, India e Turchia. Persino l’esplosione del gasdotto Nord Stream, attribuita ufficiosamente a sabotatori vicini agli interessi americani, non ha suscitato una risposta forte da Bruxelles. La distruzione di un’infrastruttura strategica per l’approvvigionamento energetico europeo è stata trattata quasi come un incidente secondario, «confermando la sudditanza politica agli Stati Uniti», ribadisce Giuseppe Gagliano su Inside Over.
Le sanzioni, che dovevano mettere in ginocchio Mosca. Dati della Commissione Europea, il costo del gas per l’industria europea è aumentato in media del 70% tra il 2022 e il 2023. Questo aumento ha reso molti settori industriali non competitivi rispetto ai concorrenti globali. La Germania, pilastro economico del continente, ha visto crollare la sua bilancia commerciale, entrando per la prima volta in deficit dal 1991. L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, con incentivi per la transizione verde, ha accelerato la fuga di capitali e imprese europee. Secondo uno studio della Banca Centrale Europea, tra il 2023 e il 2024 si prevede che almeno 10.000 posti di lavoro nell’industria automobilistica e chimica saranno trasferiti negli USA, per costi energetici dimezzati e vantaggi fiscali.
L’abbandono del gas russo, che copriva il 40% del fabbisogno europeo, ha lasciato il continente nelle mani del gas naturale liquefatto (GNL) americano e di quanto siamo a riusciti a trovare sui trascurati mercati nord africani e caucasici, con altri prezzi. Questo cambiamento non solo ha comportato costi più elevati, ma anche una minore sicurezza energetica, perché il Gas Naturale liquefatto è soggetto a fluttuazioni di mercato globali. Con qualcuno che guadagna sempre. Gli Stati Uniti, hanno aumentato le esportazioni di GNL del 68% nel 2023, con prezzi fino a quattro volte superiori a quelli pagati dai consumatori americani.
Il modello economico europeo, basato su alta produttività e costi energetici competitivi (via Russia e vicino oriente), è in crisi. La deindustrializzazione, fenomeno già avviato prima della pandemia, ha subito un’accelerazione. Settori chiave come l’industria automobilistica, la chimica e la siderurgia tedesca hanno perso terreno per una combinazione di energia costosa, dumping americano e concorrenza cinese. Esempio emblematico il settore automobilistico. La Cina, principale esportatore mondiale di veicoli elettrici, in Europa ha raggiunto una crescita al 70% nel 2023. E l’introduzione di dazi anti-dumping, deve mettere in conto le rappresaglie cinesi contro prodotti europei.
Dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump lo scenario per l’Europa potrebbe ulteriormente deteriorarsi, segnala ancora InsideOver. Trump ha più volte dichiarato di voler ridurre il supporto militare a Kiev e concentrarsi sugli interessi americani, lasciando l’Europa a gestire da sola una guerra che non può vincere né interrompere. Questo approccio, unito a nuovi dazi protezionistici già in corso, minaccia di isolare ulteriormente l’UE, rendendola dipendente da un mercato americano sempre più chiuso e competitivo. E mentre l’Europa fatica a rispondere alle sfide, il resto del mondo si riorganizza.
La Cina espande la sua influenza attraverso la Belt and Road Initiative, attirando alleanze in Africa, Asia e America Latina. Le economie emergenti del Sud globale stanno ridefinendo le dinamiche di potere globale, emarginando l’Europa. L’Africa, in particolare, si allontana dall’UE per abbracciare partnership più vantaggiose con Cina e Russia. «In questo contesto, l’Europa appare bloccata in una crisi identitaria, -avverte Giuseppe Gagliano-, incapace di liberarsi dalla tutela americana, ma anche di costruire una politica estera indipendente e credibile. La marginalizzazione geopolitica è evidente: non più attore centrale, ma spettatore in un mondo multipolare».
Sconfitta definitiva? No, dicono più fonti autorevoli. Ma l’Unione Europea a un bivio: o definire una sua autonomia strategica nel nuovo ordine mondiale, oppure continuare a seguire una strada che la condanna alla marginalità. Quali scelte reali? Ancora ‘Cestudec’.
«Una politica energetica basata sulla diversificazione reale, una difesa dell’industria europea contro il dumping globale e una diplomazia che superi la logica della contrapposizione ideologica. Il rischio, però, è che l’Europa si riveli incapace di superare le sue divisioni interne, perdendo l’occasione di riaffermarsi come potenza globale. In un mondo in rapido cambiamento, l’inerzia è una condanna. E il tempo per agire sta finendo».