Israele e il caso Haaretz, la democrazia da silenziare

Il quotidiano Haaretz ha finora rappresentato una delle più autorevoli voci critiche interne sull’operato del Governo israeliano. Fonte critica ripresa più volte anche dai nostri quotidiani, editoriali della testata contro il premier Benjamin Netanyahu e altri membri del suo gabinetto. Prese di posizione bersaglio ripetuto di vari esponenti della maggioranza di ultra destra che già un anno fa proponevano diverse forme per arrivare ad imporre la chiusura della testata.

La post democrazia di Netanyahu seppellita con Haaretz?

«Premesso che in una democrazia che voglia definirsi tale la libertà di stampa e di espressione sono un elemento imprescindibile», l’incipit di Paolo Arrigoni scandalizzato su InsideOver. La decisione approvata dal premier su proposta del ministro delle Comunicazioni, Shlomo Karhi, – a darne la notizia è lo stesso Haaretz –, vieterebbe a qualunque ente o organismo finanziato dal Governo di intrattenere comunicazioni con il quotidiano e/o di pubblicarvi inserzioni pubblicitarie. Stragolarlo economicamente e sul fronte delle notizie, sempre puntuali e pungenti. La decisione sarebbe stata adottata senza neanche il consueto parere degli uffici del Procuratore generale. La decisione non solo non giunge inattesa, ma riprende i contenuti di analoga proposta fatta dallo stesso Karhi circa un anno fa, quando il titolare del dicastero, ed esponente detro del Likud, accusò la testata di fare di “falsa propaganda”.

Censura minacciosa e reclamizzata

Le motivazioni all’origine della dura e indecente presa di posizione è dello stesso Esecutivo, come minaccia rivolta alla stampa in generale. Reazione a diversi editoriali e reportage «che avrebbero leso la legittimità e/o il diritto di difesa dello Stato ebraico». Sicuramente nel mirino le parole pronunciate a Londra dall’editore di Haaretz, Amos Schocken, che si era espresso a favore dell’applicazione di sanzioni contro il Governo Netanyahu, accusandolo di avere imposto alla popolazione palestinese un vero e proprio regime di apartheid, e definendo ‘Freedom fighters’ i combattenti qualificati terroristi dall’Esecutivo. Queste dichiarazioni avevano già causato una prima reazione, col ministero degli Esteri di Tel Aviv che aveva disdetto diversi abbonamenti.

Governo autoritario e traballante

La decisione governativa è di oggi, e non ha ancora avuto impatto e conseguenze, ma una cosa è certa: la pluralità di posizioni, finora garantita assai più da Haaretz che da diverse e blasonate testate occidentali (italiane incluse), viene ora messa in discussione -impedita-, in modo ufficiale. Una censura diretta non sarebbe consentita dal diritto israeliano (ricordiamo che il Paese non si è mai dotato di una Costituzione), nonostante alcune controverse disposizioni di recente approvazione, esistono strumenti di pressione indiretta per imporla in modo strisciante: tagliare i cordoni della borsa pubblicitaria, è uno di questi.

Ed ecco Orban-Netanyahu

L’invito di Viktor Orbán a Benjamin Netanyahu in Ungheria per una visita di Stato non sorprende, conoscendo il personaggio e il suo gusto della provocazione e della sfida. Il premier ungherese è noto come promotore del concetto di sistema illiberale, come spina nel fianco dell’Ue per le questioni legate allo Stato di diritto e per i suoi rapporti con Mosca, e si segnala anche come sostenitore del suo omologo israeliano.Cosicché ora ha deciso di protestare contro il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) nei confronti di Netanyahu e dell’ex capo della Difesa israeliana Gallant. Pura e semplice provocazione, sottolinea Massimo Congiu.

Orban e l’amico Salvini

Orbán è acceso sostenitore, insieme a Salvini e ad altri esponenti del governo italiano, del principio per il quale non si può mettere sullo stesso piano un capo di governo e dei terroristi, perché, come dice il leader della Lega, “i criminali di guerra sono altri”. Affermazioni che non tengono conto di quanto avviene a Gaza almeno da ottobre dell’anno scorso, senza contare i precedenti e il terrorismo istituzionalizzato che ha consentito e sostenuto gli insediamenti dei coloni israeliani avvenuti con prepotenza e considerati da organismi internazionali e da numerosi studiosi ed esperti una violazione del diritto internazionale.

Utile ricordare la risoluzione dell’ONU riguardante lo stop alle colonie israeliane in Cisgiordania. È stata approvata a settembre con 124 voti a favore, 14 quelli contrari; tra essi quelli di Budapest e di Praga, mentre l’Italia si è voltata dall’altra parte insieme ad altri 42 astenuti.

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