Una prima considerazione. In che mani siamo? Eccole. Il presidente eletto Trump si proclama amico di due ricercati della Corte di giustizia internazionale, Putin e Netanyahu, gente imputata di crimini di guerra. Lui stesso è un personaggio poco affidabile ma promette di cercare la pace con questi due in Ucraina e in Medio Oriente. Ma non c’è da illudersi. Dietro l’angolo c’è ancora la guerra, non la pace. E Putin la guerra non la teme.
Ieri – altro che bluff – ha rivendicato di avere colpito l’Ucraina con un nuovo missile balistico a medio raggio nell’area di Dnipro (nome in codice Oreshnik). In un discorso alle forze armate ha affermato: «In caso di escalation risponderemo in modo deciso. Potremmo colpire chi permette a Kiev di lanciare missili contro la Russia», con evidente riferimento a Stati uniti e Gran Bretagna. E poi forse l’affermazione più minacciosa: «Con gli attacchi missilistici occidentali in Russia, il conflitto in Ucraina ha assunto un carattere globale».
L’ “effetto Trump” – colui che dice di volere la pace in un giorno – per ora è paradossale. Invece della distensione ci si avvia verso una escalation. L’instabilità attuale, infatti, nasce anche dall’imminente avvicendamento a Washington. Ognuno dei protagonisti vuole rafforzare la propria posizione prima della nuova fase del conflitto, a cui parteciperà un presidente imprevedibile. Ma l’escalation ha anche una logica sua, dettata dalla guerra, una logica, come dimostrano le parole di Putin, che potrebbe diventare pericolosamente fuori controllo.
Biden, in carica fino al 20 gennaio, decide, insieme agli inglesi, di alzare il livello dello scontro, autorizzando Kiev a usare missili a lungo raggio in terra russa. Ne aveva parlato con Trump? Tommaso Di Francesco sul manifesto l’altro ieri si mostrava g scettico su questo improbabile assenso tra Trump e Biden. Una cosa è certa: Putin non si fida né di Biden e, per ora, neppure troppo di Trump. Così il leader russo prima ha ampliato la possibilità, se attaccato, di usare armi nucleari, poi ha lanciato un missile balistico (senza ovviamente testate atomiche) per dimostrare che è pronto a qualunque mossa per proteggere i suoi soldati e anche quelli nordcoreani, la nuova carne da cannone del conflitto.
La mossa politicamente più rilevante di queste ore però è stata quella di Zelenski il quale ha dichiarato in una intervista a Fox News che «non possiamo perdere decine di migliaia di uomini per la Crimea», aggiungendo: «Siamo pronti a riportarla indietro per via diplomatica». Ci volevano mille giorni di guerra e innumerevoli vittime per arrivarci? Più o meno la stessa cosa l’aveva detta un anno fa l’allora capo di stato maggiore Usa Mark Milley. Tra un po’ forse il presidente ucraino ci dirà che anche sul Donbas si potrà trattare. Zelenski è lo stesso che qualche settimana fa andava a Washington da Biden per presentare il suo «piano per la vittoria» e adesso fa gli scongiuri per non essere abbandonato da Trump. Ecco in che mani siamo.
Adesso l’Occidente, a partire dall’Ue, deve capire cosa vuole in Ucraina e quello che vuole Putin. Inutile nascondersi dietro a un dito: questa è stata una guerra che la Nato ha condotto per procura, almeno così l’hanno percepita Putin e la maggior parte dei russi. Non solo. Mosca da questa vicenda vuole uscire come potenza vincitrice e questo complica il ruolo di mediatore dell’”amico” Trump.
Probabilmente gli americani non intendono fare entrare Kiev nell’Alleanza, una delle condizioni che sicuramente pone il leader del Cremlino. Ma la Russia intende accettare l’espansione ulteriore della Nato che si è già allargata a Finlandia e Svezia? L’apertura la scorsa settimana in Polonia di una base Usa nell’ambito del sistema “Aegis Ashore”, un elemento dello scudo antimissile della Nato, è stata definita da Mosca «una mossa provocatoria». Per non parlare dell’accordo appena siglato tra la Gran Bretagna e la Moldavia di collaborazione nella difesa e nella sicurezza per contrastare le «minacce provenienti dalla Russia», per «rafforzare la resilienza della Moldavia contro le minacce esterne». La firma di questo accordo è inglese ma tra parentesi, e neppure troppo, c’è scritto Alleanza atlantica, visto che gli inglesi sono la mosca cocchiera degli Stati uniti.
Il nocciolo della questione è questo: Biden non voleva cedere a un’intesa con Putin e ha alimentato questo conflitto tra ucraini e russi anche quando era vice di Obama, Trump pare più propenso a riconoscere a Mosca una “sfera di influenza”, per poi dedicarsi al rapporto che lo interessa e lo preoccupa di più, quello con la Cina. Ma la trattativa con Mosca è ben più complicata di come tende a illustrarla Trump con le sue guasconate per di più ora alle prese con le ultime decisioni di Biden. Putin non scherza. Come dice un vecchio proverbio russo: «Se inviti un orso a ballare, non sei tu a decidere quando il ballo è finito».
Dopo i missili balistici ATACMS impiegati il 19 novembre contro un deposito di munizioni a Kerchov, nella provincia russa di Bryansk, ieri alcuni missili da crociera Storm Shadow forniti da Londra a Kiev sono stati lanciati contro un centro per il comando e controllo in un bunker sotterraneo nella regione di Kursk. Lo ha reso noto il quotidiano Guardian mentre il portavoce del primo ministro, Keir Starmer, ha rifiutato di commentare la notizia e ha dichiarato che Downing street non rilascia dichiarazioni su questioni operative. Anche Bloomberg, citando un funzionario occidentale, scrive che gli Storm Shadow sono stati utilizzati per colpire il suolo russo. Attacco con velivoli Sukhoi Su-24M con il lancio di un “numero considerevole di missili” su quell’area del Kursk, dintorni del villaggio di Maryine.