
La democrazia si può sgonfiare come le ruote di una bicicletta. Basta un chiodino, un piccolo foro. Si comincia con i sospetti, le accuse, i controlli contro persone sgradite, si prosegue con la propaganda e le fake news contro gruppi, minoranze e opposizioni e si diventa sistema una volta conquistato il potere. L’ascesa di Donald Trump e l’intossicazione dell’opinione pubblica da parte del suo sodale Elon Musk raccontano la degenerazione di una democrazia e una nuova organizzazione del potere senza contrappesi e senza controlli, il cui esercizio assomiglia preoccupantemente a quello delle autocrazie. Una somiglianza che si potrebbe definire «trumputinismo».
Giunge a proposito un libro inchiesta, o romanzo-verità, appena pubblicato in Francia, che ripercorre gli oscuri disegni dell’Fbi contro uno degli scrittori più famosi al mondo e più scomodi nella sua epoca. Parliamo di Ernest Hemingway, trasgressivo, liberal, americano fino al midollo, ma per l’establishment dell’epoca troppo indipendente di mente e di cuore, tanto da essere amico di Fidel Castro, da avere simpatie per «rossi» e «anarchici» al tempo della guerra di Spagna, e da lasciare ai posteri memorabili pagine sull’insensatezza della guerra.
Secondo il saggista e scrittore Gérard de Cortanze – autore de ‘Il ne rêvait plus que de paysages et de lions au bord de la mer’, editore Albin Michel – Hemingway fu sistematicamente perseguitato dai federali, al punto da cadere in depressione, sentirsi al centro di complotti orditi contro di lui e di decidersi al suicidio.In particolare, si ripercorrono gli ultimi mesi di vita dello scrittore, quando – nel luglio del 1960 – si trasferì dall’Avana a Madrid per assistere a un’ultima corrida (una delle sue grandi passioni) e poi nel suo cottage nell’Idaho dove compì il gesto estremo, sparandosi con un fucile d caccia.
L’autore di Addio alle armi e di Festa Mobile era depresso, alcolizzato, ormai privo d’ispirazione, anche se in realtà avrebbe prodotto ancora straordinari momenti letterari. Ma, secondo le ricerche di de Cortanze, si sentiva braccato da funzionari dell’Fbi. Una caccia vera o presunta, al limite della paranoia. «Ovviamente – ha detto l’autore in un’intervista a Le Point – l’Fbi non ha “assassinato” Hemingway, ma lo ha indotto al suicidio. Non da ultimo destabilizzandolo profondamente e facendolo sprofondare in un sentimento di persecuzione permanente.
Nei mesi precedenti la sua morte, Hemingway era convinto che gli agenti dell’Fbi lo stessero seguendo. Tutte le persone a lui vicine lo testimoniarono. Sappiamo che la sua posta veniva aperta e la sua linea telefonica messa sotto controllo. Dati certi a riscontrati. La sua ultima moglie, Mary Welsh, ha ricordato che, alla vigilia della sua morte, mentre erano entrambi a cena in un ristorante, Hemingway avvistò “due rappresentanti” e riconobbe due agenti federali.
Secondo il libro-inchiesta, Hemingway era sospettato di essere comunista, soprattutto per i suoi articoli e la sua partecipazione diretta alla guerra di Spagna e per il suo famoso romanzo ‘Per chi suona la campana’. Lo scrittore spediva in America stupendi reportage filo-repubblicani, partecipò a conferenze organizzate dal Partito comunista, comprò ambulanze per i combattenti, diede asilo ai rifugiati…
«Durante la guerra del ’39-’45, il cappio si strinse: Hemingway non esitò a firmare una petizione che criticava aspramente l’Fbi, descrivendo l’organizzazione come “antiliberale” e “pericolosa”. Un giorno si imbattè in un agente e lo presentò a un amico come membro della Gestapo! In cambio, l’Fbi lo screditò facendolo passare per un militante comunista. I federali lo criticavano perché non voleva far parte della grande famiglia degli scrittori americani che sostengono il loro Paese…».
La risposta di Hemingway fu chiara: «Non sono un comunista, sono un antifascista!». Parole che ancora oggi risuonerebbero di stridente e straordinaria attualità, non solo negli Usa. Dichiararsi antifascista non significa avere simpatie comuniste, anche se qualcuno è sempre pronto a sospettarlo. Così come essere solidali con la Palestina massacrata non significa essere antisemiti.
Il libro di Cortanze chiarisce anche il senso del rapporto fra lo scrittore e Castro. Fu un’iniziale simpatia per un leader che lottava contro la dittatura e per la libertà del suo popolo, ma questo non comportò un’adesione ideologica e tantomeno una conversione al comunismo. Anche questa simpatia spontanea e umana dava ovviamente fastidio in una fase storica in cui il «giardino di casa» cubano, sotto la dittatura di Fulgencio Batista, scivolava nella sfera sovietica.
Hemingway, in un’intervista, dichiarò: «Prego Dio che gli Stati Uniti non smettano di comprare lo zucchero, perché sarebbe la fine di tutto. Sarebbe come consegnare Cuba ai russi…». Profezia azzeccata e inascoltata, cui seguirono fino ai giorni nostri l’embargo commerciale e il cappio politico. Nel libro, si parla anche della vera e propria ossessione contro lo scrittore da parte di Edgar Hoover, il famoso direttore dell’Fbi dell’epoca, protagonista di clamorose inchieste contro presunti simpatizzanti comunisti.
«Hoover lo tenne sempre sotto tiro. Nel 1954, Hemingway fu addirittura criticato per i suoi incontri con Ava Gardner e soprattutto con Frank Sinatra, i cui legami con la mafia erano ben noti. All’inizio degli anni Trenta fu aperto un fascicolo. Ho potuto consultarlo: 133 pagine di assurdità! Hemingway odiava Hoover, che paragonava a Hitler!», denuncia Gérard de Cortanze. Del resto, sono noti rapporti fra Hoover e i vertici dell’Interpol in Europa, all’epoca in cui l’organizzazione della polizia internazionale, con sede a Vienna, era sotto il controllo della Gestapo. Inoltre, alcuni dirigenti con simpatie per il nazismo continuarono a farne parte anche nel dopoguerra.
«Beveva fino a 2 litri di whisky al giorno… I suoi reni e i suoi occhi stavano cedendo, gli mancava terribilmente l’atmosfera di Cuba, ma non ci sarebbe mai tornato… Il mio libro descrive l’ultima lotta di questo gigante dai piedi d’argilla. Lo scrittore Jorge Semprun, che lo incontrò all’epoca, mi ha lasciato una descrizione commovente: “Era già molto triste, e molto vecchio, e molto serio con la sua barba bianca, ma di tanto in tanto lasciava trapelare momenti di estrema vivacità. Credo che fosse del tutto convinto che non avrebbe più scritto nulla di importante”…».
Su consiglio del suo medico, accettò di sottoporsi a un trattamento di elettroshock in una clinica americana, dal dicembre 1960 alla primavera del 1961, poche settimane prima della morte. Il suo amico e biografo Aaron E. Hotchner descrisse i trattamenti come «macelleria mentale e psichiatrica». Nelle lettere che scrisse a sua moglie Mary dopo le sedute, Hemingway notò che aveva perso la memoria, il gusto e la forza di scrivere, che non poteva più ascoltare le «voci del mondo» così care a uno scrittore… Secondo la ricerca di de Cortanze, l’Fbi era a conoscenza di queste cure. Gli agenti si misero in contatto con lo psichiatra che lo aveva in cura, Howard Rome
Hemingway andò da Howard Rome sotto falso nome per evitare che i federali lo trovassero. «Non servì a nulla, Hoover era stato informato a gennaio, il dottor Rome era in contatto con l’amministrazione, discusse il suo caso con i federali. Hemingway fu rintracciato all’interno della clinica, e si temeva addirittura che uno degli specializzandi fosse un agente dell’Fbi travestito! I federali non gli diedero tregua; fu perseguitato fino alla fine e sono in gran parte responsabili della sua fragilità mentale. Appena uscito dalla clinica, si è sparato con un fucile da caccia».
Il suicidio ricorre nell’album di famiglia. Il nonno materno, malato e in bancarotta, aveva tentato di togliersi la vita. Suo padre, che ammirava sopra ogni altra cosa, si sparò alla testa. Hemingway recuperò la pistola del padre e la gettò in un lago del Wyoming: «Il suicidio lo perseguitò per tutta la vita e giocò un ruolo centrale nella sua opera. Il suicidio del padre fu una ferita permanente nella sua anima, tanto da imitarlo. Ci provò altre volte e ancora di più negli ultimi mesi. Se a questo si aggiungono la presenza quotidiana dell’Fbi e le scosse elettriche, ecco come si uccide uno scrittore. La vita è strana: sapete qual è il titolo del suo libro da letto quando era bambino? Il Club dei Suicidi».
De Cortanze ricostruisce anche il ruolo che ebbe in questa vicenda: «Per quanto riguarda le sedute di elettroshock, lei firmò una liberatoria e diede carta bianca ai medici di una clinica considerata all’epoca la migliore nell’uso di questo trattamento. Quando lui morì, lei preferì dichiarare che si era ucciso “accidentalmente”.
Hemingway era stanco, ma non del tutto finito, come dichiarò la stampa già nel 1950: i suoi titoli postumi, come ‘Isole nella corrente’ e ‘Il giardino dell’Eden’, dimostrano che, alla fine della sua vita era ancora capace di produrre capolavori. È sempre negli ultimi anni che completa il manoscritto di ‘Paris est une fête’, pubblicato nel 1964. Una prova che aveva conservato tutta la sua forza creativa».