La guerra e la nostra autodifesa

Dalla parte di chi resiste. Dalla parte dei giovani coraggiosi di Ultima generazione. Dalla parte di chi sui territori, nelle comunità civili continua a non chinare la testa, di chi si batte senza tacere per quieto vivere o per piccolo vantaggio.
Dopo la farsa di decenni di guerre di dominio imbellettate e raccontate come fossero, di volta in volta, chirurgiche, per esportare la democrazia, contro il terrorismo, umanitarie e tutte sostanzialmente giuste secondo i criteri scelti per raccontarle da chi le ha organizzate e realizzate, oggi ci troviamo di fronte al dilemma Israele.

 

Guerra di autodifesa. Solo a scrivere mi piangono i polpastrelli. Autodifesa… Uno sterminio di uomini, donne e bambini disarmati. La distruzione di scuole, case, strade, luoghi di culto. Il divertimento dei cecchini che sparano su tutto quello che ispira la loro fantasia crudele. Il vanto sui social delle peggiori aberrazioni. Le deportazioni di prigionieri nel deserto. La tortura sistematica, le uccisioni a sangue freddo. La distruzione di interi quartieri per ammazzare una persona. C’è bisogno di continuare?
Non potendo più edulcorare la realtà e fingere che il massacro sia per il loro bene, che cosa accade in Occidente? Si rovescia la narrazione. Gli estenuanti spiegoni sul valore etico della “guerra giusta” lasciano il passo alla fredda, freddissima cronaca dello sterminio, spesso tacendo autori di stragi, o fingendo che è così che si combatte una guerra: da una parte un esercito super tecnologico e armato fino ai denti con le armi più evolute fornite dagli americani e dagli altri alleati, dall’altra i civili inermi. Quelli che vorrebbero solo continuare a vivere.
E tutti noi attoniti a cogliere la frattura tra etica e democrazia, tra i cittadini che continuano a sapere ciò che è giusto e ciò che non lo è e chi ci governa. Chi orienta l’etica al vantaggio. Più stragi, più armi vendute. Più guerre, più cultura virile belluina. Più repressione contro chi protesta, più possibilità di agire senza regole democratiche.
D’altra parte è quello che vediamo nel mondo. Un pugno di criminali ci tiene in ostaggio. La violenza è simbolicamente il mezzo più semplice per risolvere dialetticamente le controversie. E se vale per Israele e per gli Usa, vale per tutti. Vale per chi ha potere, armi, forza e arroganza su chi è fragile e disarmato. Vale nella politica nazionale dove il forte, militarmente ed economicamente, sta distruggendo i diritti acquisiti in democrazia di tutti gli altri. Vale come riflesso opaco, razzista e fascista, nelle situazioni locali dove chi ha più potere tende a considerarsi baciato dal signore e possessore di privilegi che altri non hanno e non debbono avere.
E l’ignoranza, l’ottusità classica dei mediocri, si diffonde a macchia d’olio, creando una società di stupidi furbetti, di persone che odiano la libertà e si cullano nella loro vocazione all’obbedienza. Una deriva che ci porterà a perdere tutto.

Dalla parte di chi resiste, quindi. Agendo, giorno dopo giorno, nel piccolo delle proprie possibilità per metterle in comune con gli altri, per resistere coralmente, per pensare e attuare alternative. Perché la politica è curarsi degli affari delle comunità, difendersi dagli appetiti del profitto sui territori, testimoniare principi sali e giusti. Mettendoci la faccia. Non in chat, nella realtà. Perché è lì che ci stanno radendo al suolo.

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