«Trumputinismo»
È la logica o il fascino del potere: assoluto nelle autocrazie e nelle dittature, invasivo e decisonista senza contrappesi nel caso degli Stati Uniti, benché sia formalmente il risultato di un processo elettorale democratico. Come nota il grande storico e sociologo israeliano Yuval Noah Harari, «le democrazie muoiono non solo quando le persone non sono libere di parlare, ma anche quando non sono disposte o non sono in grado di ascoltare». Inoltre Harari invita a non confondere democrazia e processi elettorali.
Dunque sta nascendo una nuova formula politica, il «trumputinismo», due facce di una stessa medaglia sostanzialmente poco democratica, benché contrapposte e – nel caso americano – suscettibile di ricambio. Senza contrappesi e processi di auto-correzione si determina una sostanziale dittatura della maggioranza (peraltro non sempre nemmeno tale in numeri assoluti).
E il trumputinismo sta trovando emuli soprattutto in quella parte del mondo in cui i processi democratici sono ancora immaturi o embrionali. Il che comporta anche una preoccupante scomposizione di alleanze, il cui segno distintivo è l’opposizione a valori e interessi occidentali. Lo si è visto ad esempio al summit dei Brics.
Una vicenda emblematica è in atto in Uganda, come riporta un reportage del Sunday Telegraph. Fan di Putin e di Trump, il generale Muhoozi Kainerugaba si prepara a succedere al padre, Yoweri Museveni, il presidente più longevo del continente nero: 80 anni di età e 38 di ininterrotto potere. Kainerugaba è anche un ammiratore di Giorgia Meloni di cui ha chiesto la mano in cambio di cento mucche. Ma al di là delle caricature, ha descritto Donald Trump come «l’unico uomo bianco che ho sempre rispettato». Ma verso Putin, «il nostro eroe russo», sfiora la devozione, al punto da promettere l’invio di truppe ugandesi in caso di bisogno.
In realtà, suo padre è più prudente e difende una storica tradizione di rapporti con l’Occidente, in particolare con Stati Uniti e Gran Bretagna, ma il figlio è scalpitante e sta facendo di tutto per conquistare il potere, confidando anche sull’aiuto del Cremlino. Kainerugaba sostiene di essere un discendente di Gesù Cristo, si considera depositario di una missione storica e al di là delle fanfaronate ha già ottenuto il controllo delle forze armate.
La preoccupazione negli ambienti diplomatici è molto alta, tranne ovviamente che in Russia. Al contrario, Mosca sembra incoraggiare la scalata al potere del generale. Una delegazione del ministero della Difesa russo ha consegnato al generale Kainerugaba un «regalo» di 100 milioni di dollari per l’esercito ugandese.È un altro tassello dell’influenza della Russia in Africa, cresciuta negli ultimi anni, con mercenari spediti dal Cremlino che proteggono dittatori militari in diverse ex colonie francesi. Finora, l’Africa anglofona era rimasta più fredda. Ma oggi le cose stanno cambiando, anche perché il malcontento diffuso fra i giovani e le problematiche sociali non favoriscono processi democratici regolari ma accentuano la risposta repressiva delle élite al potere. Un passo indietro, se si ricorda che il regime di Museveni, per quanto rigido e repressivo, aveva garantito stabilità e sviluppo.
Secondo gli osservatori, l’attuale leader si trova nella classica «trappola del dittatore»: per proteggere gli alleati corrotti del suo regime e la sua famiglia sempre più impopolare, è impossibile per lui andare in pensione, salvo affidarsi alla continuità familiare e a una repressione capillare, sia nei confronti di oppositori politici, sia nella società civile. Ad esempio, promulgando una legge che condanna a morte l’omosessualità. Diversi ex ufficiali fanno parte del governo. Secondo diverse fonti, i dissidenti vengono rapiti e imprigionati nei centri di tortura gestiti dal generale Kainerugaba. Il paradosso è che quest’ultimo sarebbe considerato inadatto alla successione anche nella cerchia familiare, tanto che molti consigliano a Museveni di ripresentarsi.
«È difficile credere che la presidenza di Museveni finirà bene», commenta un osservatore dietro anonimato. «Se morirà o se l’esercito lo rovescerà, entreremo in un periodo estremamente pericoloso. Da un lato, l’attuale élite sta facendo tutto il possibile per difendere i propri privilegi, dall’altro gran parte del Paese chiede giustizia o vendetta contro tutti coloro che sono associati al regime. Si potrebbe anche dire che il Paese è seduto su un vulcano».
Nelle scorse settimane, centinaia di giovani ugandesi hanno contrastato il divieto di manifestare. A Kampala, decine di persone sono state arrestate. Come nel vicino Kenya, anche in Uganda si sta formando un movimento sociale guidato dai giovani. Tutto è iniziato con un appello sui social network utilizzando l’hashtag #StopCorruption. È una generazione apartitica, spiega The East African. Gli avvocati impegnati nella tutela dei diritti civili hanno riferito che 60 persone, tra cui un famoso conduttore televisivo e tre giovani leader della protesta, sono stati portati immediatamente in tribunale e sottoposti a custodia cautelare. Il settimanale ugandese The Observer ha scritto che diversi manifestanti sono stati arrestati e accusati di «assemblea illegale» e «incitamento alla violenza». È stata inoltre negata loro la libertà su cauzione.
Il presidente Museveni ha avvertito i manifestanti che stavano «giocando con il fuoco». The East African ha riportato che alla vigilia della manifestazione, la sede della National Unity Platform (NUP), il principale partito di opposizione, è stata circondata dall’esercito e dalla polizia. La vicepresidente del partito, Lina Zedriga, è stata arrestata. Le autorità ugandesi hanno dichiarato che si trattava semplicemente di una «misura precauzionale», mentre il leader del partito, Robert Kyagulanyi, alias Bobi Wine, ha scritto su X che la sede della National Unity Platform era stata trasformata «in una caserma militare».
Non è questione di emisferi o tradizioni. Tutto questo succede anche in Russia. E da fine gennaio, osservatorio speciale anche sull’America trumpiana rispetto ai diritti civili e alle minoranze razziali.