Due foto assieme. Una lunga fila di sfollati –di donne e bambini– tra le rovine del campo profughi nel nord della Striscia di Gaza, foto a destra. Gli uomini di età superiore ai 16 anni sono separati, sventolano una bandiera bianca e tengono in mano le loro carte d’identità. Poco lontano, nel campo dei coloni costruito dall’organizzazione Nachala appena fuori Gaza, si celebra la festa di Sukkot con 21 ministri e membri di destra della Knesset, per discutere i piani di costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gaza.
Questa storia potrebbe iniziare in qualsiasi momento degli ultimi 76 anni: la Nakba del 1948, il «Piano Siyag» che l’ha seguita, la Naksa del 1967. Da una parte, i palestinesi sfollati con tutti gli effetti personali che possono portare con sé, affamati, feriti e sfiniti; dall’altra, i coloni ebrei gioiosi, che santificano la nuova terra che l’esercito ha liberato per loro.
Obiettivo semplice: svuotare la parte settentrionale della Striscia di Gaza della sua popolazione palestinese. Circa 300mila persone. 400 mila per l’Onu, che ancora vivevano a nord del ‘Corridoio di Netzarim’ -la zona occupata da Israele che divide in due Gaza. Durante la prima fase del piano, l’esercito israeliano garantiva una settimana di tempo per evacuare verso sud attraverso due «corridoi umanitari». Al termine della settimana, l’esercito dichiarerà l’intera area una zona militare chiusa. Chiunque rimarrà sarà considerato un combattente nemico e sarà ucciso se non si arrende. Un assedio totale sul territorio, intensificando la crisi alimentare e sanitaria, creando, come ha detto il professor Uzi Rabi, dell’Università di Tel Aviv, «un processo di fame o di sterminio».
Fornire alla popolazione civile un preavviso di evacuazione garantisce il rispetto del diritto umanitario internazionale. Menzogna. Convenzioni di Ginevra: un assedio militare non annulla l’obbligo dell’esercito di consentire il passaggio degli aiuti umanitari ai civili. L’uomo che guida il piano, il generale di riserva Giora Eiland ha passato l’ultimo anno a chiedere punizioni collettive contro la popolazione di Gaza, malattie e fame per «avvicinare la vittoria e ridurre i danni ai soldati dell’esercito israeliano». Ai residenti di Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabaliya – le tre località a nord di Gaza City – è stato ordinato di fuggire verso l’area di Al-Mawasi, nel sud della Striscia, attraverso due «corridoi umanitari. Israele ha presentato l’attacco per smantellare le infrastrutture di Hamas, con lo Stato ebraico che si assume la responsabilità di acquisire, spostare e distribuire gli aiuti umanitari nella Striscia. Il ritorno dell’Amministrazione civile israeliana che ha governato Gaza fino al «disimpegno» del 2005.
Da quando l’esercito israeliano ha iniziato la sua operazione nel nord di Gaza ha ucciso oltre mille palestinesi. L’aviazione israeliana di solito bombarda di notte mentre le vittime dormono, massacrando intere famiglie nelle loro case e rendendo più difficile l’evacuazione dei feriti. Il 24 ottobre i servizi di soccorso hanno annunciato che l’intensità dei bombardamenti non ha lasciato altra scelta se non quella di cessare gli interventi nelle aree assediate. L’operazione di sterminio in corso nel nord di Gaza Nell’ultimo anno denunciato da innumerevoli rapporti investigativi che i media più autorevoli del mondo hanno dicumentato. Dal lancio di bombe da 2mila libbre dove non ci sono obiettivi militari nelle vicinanze all’uccisione regolare di bambini con colpi di cecchino alla testa, queste atrocità passate ci mostrano cosa continuerà a fare l’esercito israeliano se non verrà fermato.
All’inizio dell’operazione l’esercito israeliano ha ordinato ai tre ospedali (ospedale Indonesiano e Kamal Adwan a Beit Lahiya e l’ospedale Al-Awda a Jabaliya) di evacuare entro 24 ore, minacciando di catturare o uccidere chiunque trovato al loro interno. L’esercito ha bombardato Kamal Adwan in tre giorni di raid che ne ha distrutto l’operatività, seguito dasll’arresto della maggior parte dei medici. E anche le ferite lievi spesso finiscono con la morte perché non ci sono gli strumenti per curarle. Un rapporto delle Nazioni unite ha concluso che Israele sta portando avanti «una politica concertata per distruggere il sistema sanitario di Gaza come parte del crimine contro l’umanità dello sterminio». Attacchi militari in un assedio totale che ha bloccato l’ingresso di tutti i rifornimenti alimentari e medici ad affamare la popolazione. Ultimatum inascoltato degli Stati uniti il 15 ottobre, in cui si chiedeva a Israele di consentire l’ingresso degli aiuti nel nord della Striscia di Gaza entro 30 giorni. Pena la sospensione delle forniture di armi. Gli aiuti non sono arrivarti, le armi americane sì.
Le agenzie umanitarie hanno lanciato avvertimenti sul disastro crescente. Un rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification sulla fame a Gaza prevede «esiti catastrofici». Cibo, carburante, sangue e medicinali promessi e mai inviati. Pressato dal gruppo israeliano per i diritti umani Gisha, lo Stato ha ammesso che fino a quel momento non era stato permesso l’ingresso di alcun aiuto umanitario nel nord di Gaza. «Prepararsi a colonizzare Gaza». Un progetto per la costruzione di insediamenti ebraici in tutta la Striscia dopo aver ripulito l’enclave dai palestinesi. Gaza City, «una città ebraica, tecnologica e verde che unirebbe tutte le parti della società israeliana». Gli israeliani si sono sempre uniti intorno allo all’espropriazione dei palestinesi. Solo un quarto dell’opinione pubblica israeliana è favorevole al reinsediamento di Gaza, ma la presenza significativa di ministri e sostenitori del Likud di Netanyahu dimostra che la decisione è presa.
Il ‘movimento Nachala’ di Daniela Weiss ha già pronti i piani: sei gruppi di insediamento, con 700 famiglie in fila. Serve solo una ‘finestra di opportunità’ -l’attenzione internazionale distratta (in Libano, in Cisgiordania, in Iran), e, nello stile «decisivo» di Bezalel Smotrich e «il paletto sarà piantato oltre la recinzione». Lo chiameranno «avamposto militare» o «fattoria agricola», una strategia collaudata per strizzare l’occhio alla destra e accampare false giustificazioni di sicurezza per la sinistra. ‘Kohelet Policy Forum’ -un think tank di destra responsabile di gran parte dei piani regolatori dell’attuale governo-, e in un’intera fila di politici di destra imbevuti di odio e di un insaziabile desiderio di vendetta. La reincarnazione di un vecchio concetto israeliano: «le vittime eterne non possono mai peccare». La mentalità che ha trasformato il trauma del 7 ottobre, parole di Naomi Klein, in «un’arma da guerra», fondendo l’attacco di Hamas con l’immaginario dell’Olocausto.
Calderone traboccante di messianismo e il «Piano dei generali». Per Omri Maniv di Channel 12, sebbene i generali militari siano il volto del piano, la mente dietro è l’organizzazione di destra ‘Tzav 9’, il gruppo dell’incendio dei camion degli aiuti umanitari prima dell’ingresso a Gaza sanzionato dagli Stati uniti. Il suo fondatore, Shlomo Sarid, e altri rimasugli dall’ormai defunto Istituto di Strategia Sionista. A dirci molto. La leadership politica sta facendo pressioni sull’esercito per impedire ai residenti di Jabaliya di tornare alle loro case, «nonostante gli obiettivi dell’operazione siano stati in gran parte raggiunti». E il vergognoso Eiland prevede che per i palestinesi il nord di Gaza «si trasformerà lentamente in un sogno lontano. Come hanno dimenticato Ashkelon, dimenticheranno anche quest’area».
In questo momento, circa 100mila residenti sono assediati a Beit Lahiya, Beit Hanoun e Jabaliya, affamati e assetati. Intere famiglie massacrate e interi quartieri rasi al suolo ogni giorno. La distruzione delle infrastrutture sanitarie e il blocco degli aiuti medici hanno reso gli ospedali inattivi, incapaci di curare i feriti. Mentre un parziale blackout delle comunicazioni e la quasi totale assenza di giornalisti ci impediscono di sapere. Il nuovo presidente dovrà studiare la situazione. L’Europa non ha alcuna leva di influenza su Israele nell’immediato futuro, e in ogni caso le differenze di opinione interne all’Ue e, in primo luogo, il risoluto sostegno della Germania a Israele, impediscono qualsiasi drastico cambiamento di politica. All’Aja, i mulini della giustizia macinano lentamente.
La macchina del veleno della destra americana, aiutata da Elon Musk, è in piena attività di disinformazione e fake news. Tutto ciò offre a Israele una finestra di opportunità di un mese o due -il passaggio tra il pessimo Biden e il peggiore Trump-, durante la quale può persino intensificare l’operazione di sterminio nel nord di Gaza. L’intensificarsi della guerra in Libano e nel nord di Israele, ulteriore cortina fumogena. L’uccisione di oltre mille persone nelle quattro settimane dall’inizio dell’operazione in corso può non sembrare un granché rispetto ai numeri dell’inizio della guerra, ma l’area sotto assedio contiene meno di un quinto della popolazione di Gaza. E in proporzione questo equivale ai numeri record dei primi due mesi di guerra, quando l’esercito ha ucciso una media di 250 persone al giorno.
Israele sembra scegliere una via di mezzo tra lo sterminio e il trasferimento. Lo sterminio come una forma di terrore e intimidazione, modo per persuadere i residenti del nord di Gaza a evacuare «volontariamente». Ma anche questo non è stato sufficiente. Così i soldati sono stati inviati nei rifugi per radunare i rifugiati sotto la minaccia delle armi e mandarli a sud, gli uomini separati e deportati per essere interrogati o arrestati. Il «Piano dei generali» non è solo un inganno ma anche un flop operativo. La popolazione minacciata non vuole evacuare volontariamente sulla traiettoria dei proiettili e dei colpi di mortaio, preferendo orrori familiari a quelli sconosciuti, com’è nella natura umana (d’altronde, chi nell’esercito israeliano è in grado di percepire i palestinesi come umani?).
La distruzione nel nord di Gaza è diversa da qualsiasi cosa abbiamo visto prima. L’esercito si assicura di bruciare, distruggere e radere al suolo ogni edificio dopo che i palestinesi se ne sono andati – e a volte mentre sono ancora dentro. E persino gli americani e gli europei possono vedere questi orrori in corso d’opera, per poi, opportunità politica, ignorarli. Quanto tempo ci vorrà per ripulire completamente il nord di Gaza dalla sua popolazione? Tra l’ostinazione dei residenti a rimanere, il numero massimo di morti giornaliere che l’esercito si concede in base alle reazioni internazionali. Molti degli sfollati si stanno insediando alla periferia di Gaza City temendo che, se lasceranno del tutto il nord, non potranno più farvi ritorno.Se l’esercito li espellerà anche da lì, pulizia etnica politica comprovata
All’interno di Israele, siamo in pochi a vedere con occhi chiari la realtà che abbiamo davanti, ammette sconsolato Idan Landau, professore all’università di Tel Aviv e autore di questa impietosa cronaca-analisi che noi abbiamo cercato di riassumere nel possibile. «Quel poco che possiamo fare, dobbiamo farlo. Ma nulla di tutto ciò è rilevante di fronte al genocidio che il nostro esercito sta compiendo mentre leggete queste parole». In che modo il massacro del 7 ottobre giustifica l’incendio di scuole e panetterie? Che cosa ha a che fare lo statuto di Hamas col negare l’accesso a Gaza alle attrezzature mediche, causando la morte in massa dei feriti? E la caricatura dell’«opposizione». Il «centro-sinistra» israeliano tra un’«occupazione strategica» di territori, e una politica di «separazione», e all’esercito una completa libertà d’azione nei territori occupati.
Il rifiuto di affrontare la responsabilità della catastrofe per la quale Hamas ha una notevole colpa, ma noi molto di più. Il rifiuto di vedere i palestinesi come esseri umani. Come un gregge di animali, i cecchini e i droni li mettono in fila, sparando munizioni vere a chiunque si rifiuti di muoversi o ci metta troppo tempo. Una disumanizzazione che può farci venire in mente i nazisti mentre caricano gli ebrei in carri bestiame. La rete di crimini qui descritta non è astratta, e una vasta parte dell’opinione pubblica israeliana vi prende parte. Molti hanno invocato lo sterminio vero e proprio. La maggioranza, tuttavia, non è così esplicita o compiaciuta. La maggior parte si limita a servire l’esercito per centinaia di giorni «perché dobbiamo proteggere il nostro Paese». Commettono crimini senza pensarci, o a metà.
Possono trovare una miriade di scuse, ma ognuna di esse si sgretola di fronte a più di 16mila bambini morti – più di 3mila dei quali sotto i 5 anni – che sono stati tutti identificati con il loro nome. E si sgretolano di fronte alla distruzione di tutte le infrastrutture civili, che non hanno e non possono avere uno scopo puramente militare. Tutti noi (Israeliani ebrei) portiamo il peso della responsabilità per questo, anche se alcuni più di altri. Il consenso sulla guerra di sterminio avvelena la società israeliana e ne annerisce il futuro in modo così profondo che anche piccole sacche di resistenza possono far crescere la forza e la speranza di coloro che non si sono ancora lasciati trascinare dalle correnti della follia.