Trump bis: non potremmo scappare dall’America?

L’America, ombrello storico dell’Europa occidentale dal nazismo e poi dal comunismo sovietico, con qualche problema ancora da risolvere con quello cinese. Superpotenza mondiale tra crescenti concorrenze, inimicizie aperte e problemi. E anche il più ‘americanofilo’ d’oggi è colto dai dubbi. A partire dal modo in cui questa grande ma confusa democrazia, da un po’ di anni, sceglie il suo presidente.

Tifoserie ideologiche a parte, entusiasmarsi per Kamala Harris o per Donald Trump, era puro  atto di fede e di appartenenza. Chi aveva capito le scelte che i due concorrenti avevano in testa per il futuro del mondo, noi europei compresi? Trump, nella sua rozzezza, a suo modo era trasparente. Il disprezzo di Donald per Nato e Ue è noto. Ma le sorridenti intenzioni della bella Kamala verso l’antico alleato, più sorridenti, restano ancora oggi avvolte nel mistero.

Politica estera questa sconosciuta

Non è stata certo la politica estera il tema dominante dello scontro fra la candidata democratica e il repubblicano, anche se concorrevano per chi dovesse governare il pianeta. Di Ucraina, Israele e Gaza hanno parlato poco, e forse per fortuna, che uno può ancora sperare o illudersi. Vladimir Putin è stato citato una decina di volte ma era il cattivo che serviva più a un uso interno che internazionale a scambiarsi colpi e insinuazioni. Harris ha citato Putin e gli altri dittatori del mondo come amici di Trump, parzialmente vero; il repubblicano ha accusato la democratica di odiare Israele cercando di rubarle l’elettorato ebraico americano e una parte dei tanti miliardi in donazioni che l’hanno sostenuta. Più mercato che politica. Nessuno spunto di qualità e bassissimo profilo.

La sconosciuta ma giovane Kamala

I sondaggi dicevano che il 28% dell’elettorato – quello senza convinzioni ideologiche- non conosceva Kamala Harris. Che poteva non essere uno svantaggio, rispetto al brutto che è noto. Ora di lei non sa molto di più, salovo che era riuscita a spingere Trump sulla difensiva generazionale, mettendo lui al posto di Biden nel ruolo di vecchio da mettere e riposo. Ferita imperdonabile che ha scatenato l’aggressività di Trump a straripare, sostenendo che gli immigrati mangiano i cani e  i gatti degli americani; che i democratici sono favorevoli all’aborto anche al nono mese: cioè a sopprimere il neonato dopo la nascita. Falsità a livello di scemenze, ma negli Stati Uniti di oggi accade senza troppe reazioni indignate.

‘Voltare’ pagina’ sola proposta politica

Kamala Harris aveva invitato l’America a “voltare pagina, a pensare al futuro, non al passato”. Non Biden (di cui era una non irresponsabile vice) e non il Trump già assaggiato, ma nuova generazione. Concetto elementare ma nel vuoto politico Usa, di possibile impatto emotivo. L’illusione di qualcuno – sola virtù nota l’essere ‘nuovo’-, che sappia riformare impegni e valori dell’America di cui troppo si parla e poco o nulla ormai si pratica. Alla fine, ci trovavamo  di fronte ad un progetto planetario tra le due potenziali ‘guide del mondo’, con molto poco in mano.

Visioni e priorità diverse, ma quali?

Gli Stati Uniti impotenti di fronte alla crisi Ucraina (mezzo creata) e al caos mediorientale (non impedito). La guerra Ucraina, che doveva logorare la Russia di Putin, sta affondando l’Europa comunitaria, appendice di cassa del predominio politico Nato e comando americano. Con la Cina prima troppo vicina e in un colpo, con la Russia aggressiva, due concorrenze stracciate in un colpo solo. Ora sul Medio Oriente, Biden critica il numero di vittime civili nella guerra israeliana ma non taglia la fornitura di armi del massacro. Netanyahu fa quello che vuole e non ha mai nascosto la sua preferenza per Donald Trump, ma l’America democratica voleva evitare qualsiasi gesto che potesse danneggiare Kamala Harris nella sfida a Trump, e bloccare i generosi finanziamenti della potente comunità ebraica di casa. E ha tacciuto troppo.

Chi deciderà quale America toccherà al mondo?

Da 75 anni, cullandosi nell’idea di un continente definitivamente in pace, l’Europa ha dato la sua sicurezza in appalto agli Stati Uniti. In cambio di una chiara sudditanza politica. Kamala Harris avrebbe continuato a svolgere questo ruolo a colpi di Nato verso Russia e Ucraina? E come avrebbe reagito se Bibi Netanyahu avesse continuato, come fa con Biden (ultimo la schiaggo del licenziamento del ministro Gallant), a ignorare-sbeffegghiare le esortazioni Usa per un compromesso umanitario con i palestinesi? Ancora armamenti stragisti?

Ma il problema che più angoscia molti di noi, più attenti alle vicende mediorientali, –tornato un astioso Trump alla Casa Bianca con tanti conti anche personali da saldare-, è la possibilità che a decidere quali guerre allargare e quanta repressione esercitare sulla minoranza palestinese sopravvissuta, segregata e derubata, sarà sempre quel pessimo personaggio che è Netanyahu. Mentre noi ‘democratici europei’, all’Onu, ripeteremo di «Due popoli, due Stati», continuando ad armare i becchini tra espressioni di buoni sentimenti. Destinati -gran finale della beffa-, ad ereditare da subito la catastrofe Ucraina dagli Usa trumpiani delle roboanti promesse di pace in 24 ore. Noi europei con delega a sborsare futuro e ricostruzione al bordello ucraino-russo che forse spararà un po’ meno, cambiando solo nome.

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