
L’Arabia saudita vuole l’accordo bilaterale di sicurezza con gli Usa prima della fine del mandato di Joe Biden. Ma non intende normalizzare le relazioni con Israele. E se questa indiscrezione troverà conferma ufficiale -avverte Michele Giorgio sul Manifesto-, gli ‘Accordi di Abramo’ del 2020 tra Israele e quattro paesi arabi (Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan) andranno in soffitta. E non è detto che il suo teorico, Donald Trump, rieletto, sarà in grado di riportarli in vita.
Gli Usa avevano sino a ieri condizionato l’accordo bilaterale con l’Arabia saudita a un trattato di pace di Riad con Israele. Con Netanyahu che si aspettava di cantare vittoria entro il suo drammatico mandato. Con l’Arabia saudita negli Accordi di Abramo, il premier israeliano avrebbe potuto affermare che l’aspirazione alla libertà e all’indipendenza dei palestinesi sotto occupazione non condizionava più la politica del mondo arabo verso Tel Aviv. «Ma non è andata come Netanyahu desiderava» dice Ghassan al Khatib, docente all’università di Birzeit e analista politico, al manifesto.
«L’ultimo anno ha confermato che la questione palestinese non può essere cancellata con un colpo di spugna. E i leader arabi, dentro e fuori gli Accordi di Abramo non possono ignorare le rivendicazioni dei palestinesi. Anche perché le masse arabe chiedono giustizia e diritti per i palestinesi e sono schierate contro la normalizzazione con Israele». Per Al Khatib gli ‘Accordi di Abramo’ sono morti da tempo. «E se Trump, farà di tutto per resuscitarli non penso che avrà successo», prevede l’analista. «Senza l’Arabia saudita gli Accordi di Abramo non significano molto. Solo la partecipazione saudita può dare a Netanyahu la forza per dichiarare di avere il mondo arabo o buona parte di esso dalla sua parte e che la questione palestinese non condiziona più nessuno».
Che tra gli obiettivi di Hamas, quando il 7 ottobre 2023 ha lanciato il suo attacco nel sud di Israele, ci fossero anche gli Accordi di Abramo, non è accertato. Comunque stiano le cose gli effetti dell’assalto di Hamas e dell’offensiva militare di Israele che ha devastato Gaza e ucciso almeno 43mila palestinesi, è stata la paralisi delle trattative tra Riyadh e Tel Aviv. «Tace il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman (MbS), di fatto già alla guida del regno -sempre Michele Giorgio-. Lo scorso agosto MbS avrebbe detto a una delegazione di parlamentari statunitensi che, mentre Israele compie stragi di civili e uccide i leader di Hezbollah e Hamas, la normalizzazione con Tel Aviv metterebbe a rischio la sua vita», riferendosi all’assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat nel 1981.
Lo spregiudicato erede al trono saudita sa che, se aderisse agli Accordi di Abramo, il suo paese subirebbe un pesante contraccolpo anche interno. Diversi rappresentanti della monarchia Saud ripetono da mesi che senza la realizzazione dello Stato palestinese e una giusta soluzione per il popolo sotto occupazione, non potrà esserci la pace con Israele. Con questa posizione saudita, è difficile immaginare che altri leader arabi aderiscano agli Accordi di Abramo nel prossimo futuro. E il desiderio di Netanyahu di andare in Kuwait, Mauritania, Oman, Tunisia – paesi di cui si fecero i nomi a suo tempo – è svanito. Cambiare la percezione di Israele «da amante segreto a partner ufficiale», un efficace commento israeliano.
Ma dopo le distruzioni e i massacri a Gaza e in Libano e una esibizione di forza senza precedenti, lo Stato di Israele non solo resta un amante per principi e re arabi, ma sempre più amante scomodo, della vergogna, per l’opinione pubblica araba traumatizzata dalle scene di morte e distruzione nella regione -conclude Michele Giorgio-. Anche se i conflitti in corso si fermassero domani, gli analisti arabi non credono che alcun Stato della regione si unirebbe al campo della normalizzazione in tempi brevi. Almeno per un decennio, prevede qualcuno.